La Germania apre sul completamento dell’unione bancaria e lo fa con il ministro delle Finanze, Olaf Scholz, che corre in queste settimane per la segreteria dell’SPD, il partito socialdemocratico. In un’intervista al Financial Times, l’uomo si è detto pronto a prendere in considerazione l’ipotesi di una garanzia unica sui depositi, così da dare stabilità finanziaria all’Unione Europea. Tuttavia, ha posto stringenti condizioni a corredo della sua accettazione. Anzitutto, l’accelerazione nel processo di abbattimento dei crediti deteriorati.

Secondariamente, la fine della valutazione dei titoli di stato come “risk free”, armonizzazione delle leggi fallimentari sulle banche, della contabilità delle imprese e aliquota minima europea per l’imposta sugli utili.

La garanzia unica europea sui depositi assicurerebbe il sostegno sovranazionale agli stati per i casi di crisi bancaria, tutelando i conti dei clienti fino a 100.000 euro. Questo “backstop” agirebbe da antidoto contro una eventuale crisi di fiducia del sistema finanziario sulla capacità dei singoli governi di tutelare effettivamente i conti garantiti dei clienti, impedendo fughe di capitali e conseguenti tensioni come dopo la crisi del 2008-’09.

L’unione bancaria divide l’Eurozona e la garanzia unica sui depositi si allontana 

A beneficiarne maggiormente sarebbero gli stati del Sud Europa, tra cui l’Italia, i cui sistemi bancari appaiono più fragili. Al contempo, questo completamento dell’unione bancaria comporterebbe il rischio di trasferire perdite da uno stato all’altro, ragione per cui la Germania si è sempre opposta strenuamente e continua a farlo, malgrado le sorprendenti dichiarazioni di Scholz, con il capo delle Casse di risparmio tedesche, tale Helmut Schleweis, il quale ha ribadito la linea ufficiale delle banche teutoniche con le seguenti parole: “non è il momento adatto per condividere gli schemi di garanzia sui depositi”.

Il bluff di Berlino

Le condizioni fissate dal ministro, ad ogni modo, appaiono inaccettabili o, comunque, difficili da digerire nel breve in paesi come l’Italia.

Per quanto le nostre banche abbiano compiuto sforzi enormi per pulire i loro bilanci dai crediti a rischio, questi restano su percentuali più che doppie rispetto alla media europea e l’accelerazione del loro abbattimento implicherebbe ulteriori perdite da far emergere più in fretta e in misura maggiore del previsto. Inoltre, costringere le banche ad accantonare capitale a copertura dei rischi derivanti dalle detenzioni di bond governativi e in misura differente, a seconda del rating di questi, comporta per il Tesoro di Roma la necessità di fare a meno nel tempo del suo principale cliente, con ripercussioni potenzialmente esplosive sia per il costo del debito pubblico che per i conti delle stesse banche.

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Infine, con la richiesta di un’aliquota minima per la “corporate tax”, la Germania si è assicurata il voto contrario dell’Irlanda, paese in cui gli utili delle imprese vengono tassati al 12,50%, circa 10 punti in meno della media OCSE. Volendo essere onesti, le parole di Scholz sembrano solo in apparenza un’apertura alla garanzia unica sui depositi, ma s’inseriscono in quella linea ufficiale di Berlino, secondo la quale sarà possibile la condivisione dei rischi bancari solo quando questi si saranno ridotti a livelli non patologici in tutti gli stati membri. Semmai, il ministro punta a rimarcare la diversità della sua SPD rispetto alle posizioni di maggiore chiusura degli alleati conservatori al governo federale, il partito della cancelliera Angela Merkel. In ottica di consenso, non sembra una mossa geniale per recuperare i voti perduti.

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