Prende il via oggi a Hiroshima, Giappone, il vertice del G7 per l’edizione 2023. L’anno prossimo spetterà all’Italia ospitare l’evento. L’ultima volta che si svolse nel nostro Paese fu nel 2017 a Taormina. La volta prima ancora era stata a L’Aquila, a pochi mesi di distanza dal terribile terremoto che aveva sconvolto la città abruzzese. Nella memoria nazionale, tuttavia, fu l’edizione del 2001 – in formato G8 a Genova – ad essere rimasta più delle altre per via delle violenti proteste che devastarono il capoluogo ligure.

Il vertice del G7 a Hiroshima vedrà la presenza dei capi di stato e di governo di Stati Uniti d’America, Canada, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Giappone. Sono invitati anche i rappresentanti dell’Unione Europea. Perché proprio questi paesi? Tutto inizia nel 1975 quando l’allora presidente francese Valery Giscard d’Estaing invitò i rappresentanti degli altri principali paesi a discutere dei dossier internazionali più scottanti, tra cui la grave crisi petrolifera esplosa sin dalla fine del ’73.

Club delle liberaldemocrazie

Il mondo di allora era molto diverso da quello odierno. C’era mezza Europa sotto l’egida dell’Unione Sovietica, altri paesi come la Spagna non si erano ancora affacciati del tutto alla democrazia. In sostanza, i sette partecipanti erano gli stati più importanti sul piano economico e più influenti su quello geopolitico. Dal 1997 il consesso si allargò alla Russia, dove il regime comunista era caduto nel ’91 dopo oltre settanta anni. E Mosca partecipò alle edizioni fino al 2014, dopodiché fu espulsa per via dell’occupazione della Crimea.

Ogni anno la stessa domanda: ha senso il G7 in un mondo dove esistono superpotenze come la Cina e altre grandi economie come l’India, il Brasile, ecc.? La risposta la daranno i numeri, come vedremo tra poco. Nel frattempo, non possiamo ignorare che esistano già consessi più rappresentativi del pianeta, come il G20.

Di questo fanno parte anche Russia, Cina, Turchia, Arabia Saudita, Messico, Corea del Sud, ecc. E allora a cosa serve il G7? Chiamiamolo senza fronzoli “club delle liberaldemocrazie” più grandi.

Come negli anni Settanta, questi restano i principali paesi più influenti nell’area geopolitica che ancora oggi definiamo “Occidente” e che non ha una connotazione squisitamente geografica, tant’è che a farne parte vi è uno stato dell’Estremo Oriente: il Giappone. A maggior ragione con l’invasione russa dell’Ucraina, eventi come il G7 hanno un senso nel momento in cui evitano che a parteciparvi siano paesi che non condividono i nostri valori come la democrazia, la libertà e il rispetto dell’integrità territoriale degli stati.

G7 Hiroshima, numeri sull’importanza del vertice

E adesso guardiamo ai numeri. I membri del G7 si riuniscono in rappresentanza di quasi 765 milioni di abitanti, appena il 9,5% della popolazione mondiale. Allo stesso tempo, guidano economie per quasi 44.000 miliardi di dollari, il 42% del PIL globale. In termini pro-capite, ogni abitante dei paesi del G7 ha un reddito annuale di circa 57.350 dollari contro i 13.000 della media mondiale. Ma tolti gli stati del G7, il mondo avrebbe un PIL pro-capite di appena 8.300 dollari.

Parliamo tanto di transizione energetica. Vale la pena soffermarsi su qualche dato. Le emissioni globali di CO2 nel 2021 furono, secondo l’Unione Europea, di circa 37,9 miliardi di tonnellate. I paesi del G7 hanno inciso per il 21,2% del totale. Tanto? Poco? Dipende dai punti di vista. Se guardiamo alla sola popolazione, abbiamo inquinato il mondo per circa 2,2 volte la media pro-capite. Se, invece, facciamo riferimento alla ricchezza, abbiamo inquinato per la metà della media mondiale. Ed è evidente che più un paese è ricco e più sale il suo inquinamento in valore assoluto, sebbene proprio il progresso tecnologico consenta nel tempo di abbatterlo.

Come sono cambiate le cifre rispetto al 1975? Allora, le economie del G7 incidevano per quasi il 62% del PIL mondiale. I suoi abitanti avevano un PIL pro-capite di 6.526 dollari contro i 650 nel resto del mondo. Possiamo concludere, quindi, dicendo che il rapporto tra il PIL pro-capite medio del G7 e quello nel resto del mondo sia sceso da 10 a 6,9. In altre parole, il pianeta oggi sarebbe molto meno diseguale di mezzo secolo fa. In effetti, bisogna considerare che all’infuori del G7 c’è ormai una superpotenza come la Cina, che vantava nel 2022 un PIL pro-capite di 12.800 dollari. Senza di essa, il rapporto si attesterebbe a circa 8, comunque molto meno del ’75.

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