In settimana, è accaduto qualcosa di clamoroso sui mercati finanziari: l’annuncio della Banca del Giappone circa il raddoppio della banda di oscillazione per il rendimento del bond sovrano a 10 anni. Potrà muoversi tra -0,50% e +0,50%. Fino a pochi giorni fa e sin dal settembre del 2016, il movimento era tollerato nel range -0,25/+0,25%. Di fatto, Tokyo consente ai rendimenti decennali di arrivare allo 0,50%. Un rialzo dei tassi mascherato, stando alle analisi dei più. L’annuncio ha permesso allo yen di rafforzarsi ai massimi da luglio, recuperando così più del 13% dai minimi toccati in ottobre.

L’eventuale successo di questa policy costringerà dai prossimi mesi tutte le grandi banche centrali a fare i conti con un cambio di passo della politica monetaria.

Oltre sei anni fa, il governatore Haruhiko Kuroda annunciava il passaggio dal “quantitative easing” al qualitative easing”. L’ammontare degli acquisti di bond non era più prefissata, mentre la Banca del Giappone si poneva l’obiettivo esplicito di controllare la curva dei rendimenti. In teoria, ciò comporta il rischio di dover acquistare quantità illimitate di titoli di stato per centrare gli obiettivi. Nella pratica, è accaduto il contrario. Poiché il mercato ha sin da subito reputato credibili le mosse dell’istituto, non ne ha testato le capacità. Ed ecco che la crescita della base monetaria è crollata da un ritmo annuo del 20% al 3%.

Il controllo della curva dei rendimenti, in buona sostanza, ha consentito alla Banca del Giappone di proseguire l’allentamento monetario per centrare il target d’inflazione al 2% senza creare le condizioni per un’impennata di quest’ultima per via dell’altissima crescita della liquidità in circolazione. Le banche centrali valuteranno nei prossimi mesi i risultati di questa policy, quando la battaglia contro l’inflazione auspicabilmente sarà vinta. A quel punto, tornare al “quantitative easing” risulterà impopolare e imbarazzante. Viceversa, in Giappone l’inflazione ad oggi rimane contenuta al 3,7%.

Banche centrali in cerca di nuova policy

E ciò vale particolarmente per la Banca Centrale Europea (BCE), costretta a fare i conti anche con il rischio di frammentazione monetaria dell’Eurozona. Il rialzo dei tassi rende più vulnerabili i bond di stati molto indebitati come l’Italia, i cui spread sono fortemente risaliti quest’anno. Il controllo della curva dei rendimenti in stile giapponese consentirebbe a Christine Lagarde di varare un vero scudo anti-spread senza dichiararlo mai ufficialmente. Tecnicamente, sarebbe un po’ complicato, a causa della presenza di ben 19 curve nazionali (20 dal 2023 con l’ingresso della Croazia nell’euro).

Chiaramente, il riferimento principale sarebbe alla curva dei rendimenti tedeschi, un “benchmark” per l’intero mercato sovrano dell’area. Dopodiché si fisserebbero i limiti stato per stato. L’esperimento di Tokyo sarebbe preso a pretesto per risolvere l’annoso problema della divergenza tra i tassi interni. Anche la Federal Reserve lo vedrebbe di buon occhio per tenere sotto controllo l’intera struttura dei tassi senza al contempo iniettare eccessiva liquidità sui mercati. Attenzione, il Giappone sarebbe tutt’altro che un modello di politica monetaria e fiscale sano. Debito pubblico fino al 260% del PIL e per circa la metà in mano alla banca centrale.

Ma, come detto, il ritorno al vecchio QE sarà impossibile dopo che le banche centrali avranno mandato in recessione le rispettive economie per contenere un’inflazione alimentata proprio dalle loro precedenti politiche monetarie lassiste. Serve un lassismo sotto nuove vesti. E guarderanno ad est quando sembrava che Tokyo fosse passato totalmente di moda, tra un ex premier Shinzo Abe brutalmente assassinato durante un comizio e un Kuroda a fine mandato. Eppure vedrete che l’Occidente adatterà l’Abenomics alle proprie necessità.

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