Il pareggio di Osihmen in trasferta contro l’Udinese ha consegnato giovedì sera il terzo scudetto al Napoli. E la città è giustamente esplosa in una festa incessante. Decine di migliaia di persone, non necessariamente tifosi di calcio, si sono riservate in strada e altrettante allo stadio Maradona per godersi il trionfo. Erano passati esattamente 33 anni e 5 giorni da quando i partenopei vinsero il loro secondo campionato con Diego Armando Maradona in attacco. Un’altra era, altre generazioni di calciatori e tifosi.

Infatti, molti napoletani intervistati nelle ore convulse della festa spiegavano che per loro questo è il primo scudetto. Nel 1990, moltissimi non erano nati o erano troppo piccoli per ricordare.

Il cima di festa per lo scudetto a Napoli è più che doveroso. Lo storico primato vale tanto sia in termini sportivi che economici. Tutti riconoscono alla squadra di Luciano Spalletti di avere strameritato il titolo. Un percorso nitido quello degli azzurri, mai in discussione sin dalla prima giornata di campionato. Le immagini della città in festa stanno facendo il giro in Italia e nel mondo. Fiumi di retorica accompagnano l’evento. C’è chi parla di “riscatto”, chi persino di “resurrezione”. Ed è questa forse l’unica nota triste di questi festeggiamenti: l’eccezionalità dell’evento.

Scudetto Napoli eccezione

Sentiremo nelle prossime settimane cronisti sportivi o semplici commentatori sostenere in TV, alla radio o sui canali social che il calcio sia questo, un sport che consente a tutti di vincere indipendentemente dai soldi che si hanno alle spalle. Menzogna pura. Negli ultimi ventidue anni, lo scudetto di Serie A è stato vinto solamente da tre squadre: Juventus, Inter e Milan. L’ultima volta che se l’è portato a casa una squadra diversa fu nel 2001 con la Roma. L’anno prima era toccato alla Lazio. E se allarghiamo lo sguardo all’ultimo mezzo secolo, la musica cambia di poco: su 50 scudetti, solo 9 sono andati a squadre diverse dalle tre sopra indicate.

Parliamo di Lazio (1974 e 2000), Torino (1976), Napoli (1987, 1990 e 2003), Verona (1985), Sampdoria (1991) e Roma (2001).

La favola del calcio semplicemente non esiste, perché non esiste la favola della vita. Lo scudetto del Napoli è, purtroppo, una parentesi felice tra i numerosi scudetti delle solite note. Tra le altre cose, l’unica città meridionale ad avere mai potuto ambire al titolo. In 125 anni di storia, il campionato italiano ha visto vincere solamente per quattro volte squadre non del Centro-Nord. Come detto, tre volte il Napoli e una sola volta il Cagliari nel 1970. Non è né giusto e né sbagliato. E’ così che va il calcio, perché è così che va l’Italia.

Calcio riflette differenze economiche

La Serie A rispecchia in tutto e per tutto la forte sperequazione economica tra Nord e Sud. Il primo produce PIL, il secondo è la terra “do sole, do mare”. E i cliché vanno avanti da secoli appositamente per giustificare uno squilibrio che non avrebbe altrimenti nulla di naturale e giustificabile. Vincono le squadre del Nord, in quanto è nelle solite città che si concentrano i capitali. Il campionato italiano poggia tutto sulle spalle di tre squadre in termini di successi in Serie A e in Europa. Poi ci sono altre tre/quattro squadre ad illudersi di competere e che eccezionalmente possono ambire, com’è stato per quest’anno, persino ad arrivare prime. Le restanti tredici o quattordici sono semplici comparse, figuranti.

Si eccepirà che sia così anche all’estero. Non senza ragioni. La Bundesliga vede la presenza solamente di due squadre dell’ex DDR (Hertha e Leipzig) ed è superfluo dirvi che dalla riunificazione ad oggi non abbia mai vinto una di loro. E’ un albo d’oro tutto occupato da Bayern Monaco, Borussia Dortmund con qualche spruzzatina qua e là (alla partenopea s’intende) di Wolfsburg.

Guarda caso, anche qui a vincere sono sempre le squadre delle città tedesche più ricche. E potremmo ripeterci per campionati come Ligue1, Liga spagnola e Premier League. La vittoria del Leicester City nel 2016 con Claudio Ranieri come allenatore fu un’eccezione quasi divertente.

Distanze tra big e piccole sempre fortissime

Il calcio cristallizza le differenze tra territori e le perpetua nei decenni. Non vi è quasi speranza alcuna per un club che si affacci da poco sul panorama nazionale di scalare la classifica fino a primeggiare. Così come non vi è quasi alcuna speranza per chi è abituato a presenziare da minus inter pares nei massimi campionati di diventare una volta per tutte una big. E non perché vi sia dietro un complotto. Molto più banalmente gli investitori mettono capitali là dove esiste un marchio storico riconoscibile. I calciatori più talentuosi opteranno sempre per giocare in grandi squadre, così da avere maggiori chance di accumulare trofei in bacheca. Gli allenatori di esperienza stessi non metteranno piede in piccole realtà, quali che siano le potenzialità di crescita garantite da un eventuale piano societario.

Del resto, il calcio è un’industria e come ogni industria che si rispetti ha le sue regole. La ricchezza tende a concentrarsi dove già c’è. Il detto “piove sul bagnato” non sbaglia. Il terzo scudetto del Napoli interrompe la trafila dei successi degli altri, ma difficilmente invertirà la tendenza in un Paese dove da oltre 160 anni si parla con ipocrisia di rilancio del Sud. Possono sempre esistere le eccezioni, altrimenti scadremmo in una sorta di fatalismo verghiano senza speranza di riscatto alcuno. La statistica non ci è favorevole.

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