Se non avete sentito parlare di “payback sanitario”, è perché la mente umana non potrebbe neppure concepire le assurdità del legislatore italiano. Contro questa norma, voluta nel 2015 dal governo Renzi e applicata solamente nei mesi scorsi dal governo Draghi, migliaia di aziende del comparto sanitario in Italia rischiano il collasso. E gli ospedali di non ricevere più farmaci e forniture di dispositivi medicali. Cerchiamo di capire passo dopo passo di cosa stiamo parlando. Ogni anno le Regioni hanno a disposizione un plafond loro attribuito dal Fondo sanitario nazionale.

Fino a un massimo del 4,4% di questo budget può essere destinato all’acquisto di dispositivi medicali. La previsione del 2015 cercò di razionalizzare la spesa sanitaria relativa sia a questa voce che ai farmaci. Per giungere all’obiettivo, stabilì che nel caso di sforamento le Regioni dovranno richiedere ai fornitori il 50% della spesa effettuata in eccesso.

Impatto del payback sanitario sui fornitori

La norma era rimasta inattuata fino a pochi mesi fa, quando il governo Draghi decise di rivitalizzarla, chiedendo alle aziende fornitrici la metà dello sforamento di spesa avvenuto nel quadriennio 2015-2018. Parliamo di 2,2 miliardi di euro su un totale di circa 4,5 miliardi. A rischio vi sono 4.546 aziende del comparto sanitario, il cui fatturato annuo è di 16,2 miliardi, di cui 10,8 miliardi legato al mercato domestico. Di questo, il 78% dei ricavi arriva proprio dalla sanità pubblica.

Esse avrebbero dovuto pagare i 2,2 miliardi il 16 gennaio. Un decreto legge del governo ha in settimana rinviato la scadenza a dopo il 30 aprile. Resta il problema di migliaia di aziende costrette a sborsare di tasca proprio per gli errori di calcolo commessi dalle Regioni. Sarebbe come se voi aveste una bottega, un cliente entrasse, riempisse il carrello e spendesse 100 euro. E dopo cinque anni, tornasse da voi e vi chiedesse indietro 30 euro, perché aveva sforato il budget familiare e, pertanto, vi carica la metà della sua spesa in eccesso, persino retroattivamente.

Questa assurdità legislativa nota come payback sanitario rischia di privare gli ospedali e le Asl di farmaci e apparecchiature medicali. I fornitori non rischieranno di vendere alle strutture pubbliche con il rischio di dover restituire parte del fatturato. Si badi bene, qua stiamo parlando di ricavi perfettamente leciti, incassati sulla base di gare pubbliche a norma. Semplicemente, le Regioni non sono sempre in grado di capire in tempo reale quando hanno esaurito il plafond disponibile. Certo, la digitalizzazione farebbe compiere passi da giganti anche su questo fronte. Ad ogni modo, le aziende fornitrici non hanno alcuna responsabilità circa l’eventuale spesa sanitaria in eccesso. Ad occhio, la norma parrebbe persino incostituzionale, dato che lo stato chiederebbe indietro somme percepite in osservanza delle leggi.

Rischi a carico degli ospedali, specie al Sud

Poiché i maggiori problemi di budget lo hanno le Regioni del Sud, c’è il serio rischio che il payback sanitario colpisca proprio le forniture negli ospedali meridionali. In due modi: carenza di offerta, a causa della diserzione delle gare pubbliche da parte delle aziende di minori dimensioni; prezzi più alti, vista la ridotta concorrenza in sede di gara e il caricamento ex ante della possibile perdita futura da parte dei fornitori. In altre parole, si presenteranno ad offrire farmaci e dispositivi medicali solo le aziende con le spalle grosse e tali da poter sostenere eventuali costi legati alla tagliola del payback sanitario. La ridotta concorrenza già di per sé aumenterebbe i prezzi delle forniture. Questi, poi, sconteranno il rischio e risulteranno più alti del dovuto. Con la conseguenza paradossale che la norma, se applicata, finirebbe per aumentare la spesa sanitaria, anziché ridurla.

Per quanto il payback sanitario possa sembrare assurdo, rinunciare a 2,2 miliardi di euro sarà difficilissimo, se non impossibile, per le Regioni.

A meno che queste somme non le versi loro lo stato centrale. Ma non è periodo. Tant’è che al governo stanno ragionando di esentare semmai le aziende di minori dimensioni, che poi rappresentano il 94,3% del totale. Un’altra strada sarebbe di elevare (retroattivamente?) al 5,2% il tetto oltre il quale scatterebbe il payback sanitario ai danni dei fornitori. In ogni caso, sarebbero minori entrate.

La cancellazione tout court per il quadriennio passato sembra improbabile, dato lo stato dei conti pubblici. A rischio vi sono tanti dei 112.000 posti di lavoro del comparto. E alla fine non è neppure detto che lo stato ci guadagni qualcosa. Il pagamento aumenterà i costi a carico dei bilanci aziendali, riducendo la base imponibile su cui versare le imposte. Molte realtà rischiano di dover iscrivere a bilancio perdite, quando potrebbero maturare profitti su cui pagare le imposte.

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