“Non so se la Rai avrebbe retto senza Fabio Fazio“. Parole apocalittiche, pronunciate dal presidente della TV pubblica, Monica Maggioni, alla Commissione di Vigilanza, scatenando le proteste delle opposizioni. Il consigliere Arturo Diaconale ha aggiunto benzina al fuoco, quando ha spiegato di “essere stati costretti” a rinnovare il contratto al volto simbolo di Rai 3, non perché sia stata “puntata la pistola alla testa”, ma perché sulla base del codice civile, se il conduttore avesse lasciato Viale Mazzini per un’altra azienda televisiva, è possibile che il cda sarebbe stato chiamato a rispondere per danni.

Già, perché la giustificazione dei dirigenti Rai sulla violazione della legge, che impone alle società statali dell’editoria di limitare a 240.000 euro gli stipendi, sta tutta nel valore aggiunto apportato dal presentatore all’azienda, che grazie all’alto audience garantito dalle sue trasmissioni, farebbe incassare con i suoi programmi più di quanto questi costino, incluso il suo stipendio.

La settimana scorsa, Fazio aveva rinnovato il contratto per 4 anni per complessivi 11,2 milioni di euro, ovvero per 2,8 milioni all’anno, uno in più rispetto al contratto in scadenza. Secondo la Maggioni, egli avrebbe avuto già in tasca un contratto con una società concorrente (si vocifera di La 7), anche se ammette di non averlo visto, chiarendo che la Rai non si sarebbe potuta permettere di cedere uno dei suoi volti più noti.

Sul piano legale, le proteste di Renato Brunetta (Forza Italia) sarebbero superate dal parere dell’Avvocatura di stato e una lettera del sottosegretario Antonello Giacomelli, che limiterebbero il tetto ai compensi di dirigenti, i dipendenti, i collaboratori e i consulenti, escludendo gli artisti. (Leggi anche: Stipendi Rai non oltre 240.000 euro all’anno, populismo o cosa giusta?)

Giusto pagare così tanto Fazio?

E così il canone pagato dagli utenti, per mezzo della bolletta della luce sin dallo scorso anno, finanzierà lo stipendio ragguardevole di Fazio.

Giusto protestare o sarebbe solo becero populismo? Quando si commenta l’entità di uno stipendio, sia esso basso o altissimo, bisogna chiedersi per prima cosa: “quanto vale chi lo percepisce per l’azienda per cui lavora?”. Seguendo questa logica, capiamo che i quasi 22 milioni di euro netti incassati ogni anno da Cristian Ronaldo con il contratto in scadenza al Real Madrid non sarebbero affatto esagerati, ovvero il calciatore portoghese rappresenta per il club spagnolo un valore superiore (e di molto) al suo costo, tra capacità di concorrere al raggiungimento dei risultati societari sul campo e l’indotto alimentato dal merchandising e dagli sponsor.

Ora, che Fazio sia un talento che tutti i gruppi televisivi italiani si contenderebbero senza ombra di dubbio è verissimo. Il conduttore riesce, oltre tutto, ad andare in onda in fasce orarie molto remunerative per i pubblicitari, pur con trasmissioni di cultura e di infotainment, che solitamente tendono a non essere seguite da un pubblico vasto. Una TV pubblica, il cui obiettivo principale resta quello di preferire la qualità agli ascolti, a maggior ragione dovrebbe fare di tutto per non lasciarsi sfuggire un artista simile.

Né sono accettabili le critiche di chi tra i media rimprovera a Fazio di essere “un compagno” avido di denaro, perché essere culturalmente di sinistra e guadagnare stipendi con tanti zeri, specie se meritatamente, non sono cose tra di loro incompatibili. (Leggi anche: Compensi Rai: Fazio e Giletti come Leonardo Da Vinci e Shakespeare?)

Perché la Rai ha torto

Eppure, le polemiche intorno al rinnovo del contratto non sono una tempesta in un bicchiere d’acqua, perché segnalano una distanza siderale tra le sensibilità dell’utenza – quella che paga gli stipendi a fine mese a Viale Mazzini – e la dirigenza Rai. Fazio ha tutto il diritto di guadagnare quanto le sue capacità gli consentano, ma non in violazione di regole, che con buona pace dell’Avvocatura dello stato, erano state scritte per dare una stretta ai compensi della TV pubblica, molti dei cui volti fanno carriera spesso (si veda nel campo del giornalismo) più per compiacenze politiche che per reali meriti professionali.

Se Fazio lasciasse la Rai, sarebbe una perdita per l’azienda, non per lo spettatore, che riuscirebbe a seguirlo su un’altra rete di un diverso gruppo televisivo. Il profitto non è l’obiettivo di una TV pubblica, altrimenti agirebbe come un qualsiasi operatore privato nel campo editoriale, cosa incompatibile con la riscossione coattiva del canone Rai imposta agli utenti. In altre parole, che Fazio non possa lasciare la Rai, perché altrimenti ne verrebbero danneggiati i conti è un’ipocrisia che non si regge in piedi, per quanto in sé segnalerebbe una verità. O le leggi del mercato vengono fatte valere anche sul piano delle entrate, rinunciando all’imposizione del canone, oppure ci si rassegni a seguire altri criteri più austeri.

Quanto, infine, alla “genialata” di escludere solo gli artisti dal tetto ai compensi, sarebbe frutto di una visione contraddittoria del mercato, perché sarebbe come ammettere che la Rai non possa fare a meno di presentatori, vallette, showmen e giornalisti di qualità, quindi, con stipendi superiori ai 240.000 euro massimi imposti, mentre potrebbe benissimo essere gestita da dirigenti mediocri, in grado di accontentarsi di emolumenti non competitivi. In effetti, sono nominati dai politici. (Leggi anche: Canone Rai, ecco perché nessun governo vuole abolirlo)