Le ultime rilevazioni settimanali del Mise ci dicono che il prezzo del carburante in Italia è mediamente salito sui massimi dall’estate scorsa. Più di 1,90 euro per un litro di diesel e poco meno per un litro di benzina. E gennaio è stato un mese velenoso per le polemiche attorno alle accise. Il governo Meloni ha cancellato lo sconto introdotto nel marzo dell’anno scorso dal governo Draghi. Problemi di cassa, dato che l’ammanco arrivava a costare quasi 1 miliardo di euro al mese.

In un solo colpo, gli automobilisti a Capodanno si sono ritrovati a pagare 18,5 centesimi in più al litro. La stangata ha seminato zizzania, non solo tra utenti e benzinai, ma anche tra questi ultimi e governo. La minaccia di sanzioni a carico dei trasgressori e la proposta di obbligare le stazioni di servizio ad esporre un cartello con i prezzi medi praticati dal mercato hanno spinto le sigle di categoria a indire uno sciopero di 48 ore, poi ridotto a 24 ore dopo l’accordo raggiunto con l’esecutivo.

Le accise restano una nota dolente del sistema fiscale italiano. Pesano troppo sul carburante e sono detestate dagli italiani. Facciamocene una ragione: non saranno tolte mai. E forse neppure ridimensionate. Impopolare dirlo, ma meglio così. La priorità sarebbe di abbattere la pressione fiscale sui redditi, non sui consumi di un bene inquinante. Certo, milioni di italiani usano l’auto per recarsi al lavoro e giustamente reclamano un taglio del balzello. Ma andrebbe loro chiesto: volete redditi (netti) più alti o pagare di meno il carburante?

Rischi da embargo, ma euro su

Ad ogni modo, dove non è potuto arrivare il governo potrà il mercato. Nelle ultime settimane, il cambio euro-dollaro sta risalendo vistosamente. Era crollato a 0,95 a fine settembre, mentre lo scorso giovedì mattina superava la soglia di 1,10. Nel frattempo, il petrolio sta diventando meno caro.

Tre mesi fa, un barile di Brent stava ancora poco sotto i 100 dollari, quando questa settimana è sceso sotto 82 dollari. Se a inizio novembre il costo si aggirava intorno ai 100 euro al barile, adesso risulta crollato a 75,50 euro. Qualcosa come circa 19 centesimi al litro, IVA inclusa. Un taglio delle accise sui generis.

Esistono rischi all’orizzonte. Ieri, è entrato in vigore l’embargo europeo sui prodotti petroliferi esportati dalla Russia. Vedremo se il Cremlino attuerà la ritorsione minacciata contro il nostro continente. Alla vigilia, sui mercati non si registrava alcuno scossone. Buon segno. E il cambio euro-dollaro di questo passo continuerà ad apprezzarsi. La Banca Centrale Europea sta alzando i tassi d’interesse e la Federal Reserve sta concludendo la sua stretta monetaria. La divergenza tra i due istituti sta riducendosi e ciò rafforza la moneta unica. L’ultima volta che il cambio stava a 1,20 fu nel giugno del 2021. Tornando a quel livello, otterremmo un ulteriore risparmio di quasi il 10% sull’acquisto di petrolio, a parità di quotazione in dollari. Altri 5 centesimi in meno al litro.

Accise sul carburante resteranno

Cosa resterebbe delle polemiche sulle accise? La consapevolezza che proporre soluzioni demagogiche non paga. Ad essere onesti, il valore reale di questo balzello si riduce negli anni. I 72,84 euro pagati su ogni litro di benzina equivalgono, ad esempio, al 16,5% in meno rispetto a cinque anni fa. Essendo l’imposta dovuta in somma fissa, perde valore a causa dell’inflazione. Quindi, le accise potranno anche incidere di più o di meno su ogni litro di carburante, a seconda dei prezzi di mercato, ma hanno un’incidenza tendenzialmente minore sui redditi degli automobilisti.

Se ipotizziamo, ad esempio, che le accise resteranno invariate da qui ai prossimi trenta anni (ammesso che avremo ancora auto a benzina o diesel), onestamente sarebbe di tutta evidenza che i quasi 73 centesimi di euro per allora varrebbero una miseria rispetto ad oggi.

Ad un tasso d’inflazione medio del 2% annuo, equivarrebbero ai circa 40 centesimi odierni. Questo per dirvi non che le accise siano una bella cosa, ma che non ce le toglieremo di torno semplicemente perché servirebbero coperture finanziarie da destinare a tagli delle tasse più importanti. E, infine, si tratta di un’imposta “green”, di quella che piace a moltissimi di coloro che sbandierano l’ambientalismo a convenienza e che sono stati tra i primi a inveire contro la cancellazione dello sconto.

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