E’ sempre più debole l’euro sul mercato forex. Contro il dollaro il tasso di cambio è sceso sotto 1,06 stamattina, ai minimi dal febbraio scorso. E pensare che a luglio si fosse portato a 1,1250. Da allora, però, sono cambiate diverse cose. Negli ultimi giorni, ad esempio, la Federal Reserve non ha escluso un ultimo aumento dei tassi di interesse, mentre la Banca Centrale Europea (BCE) si è più che altro impegnata a lasciare i tassi alti più a lungo. Le condizioni macro divergono tra Stati Uniti ed Eurozona.

I primi potrebbero evitare la recessione e continuano a crescere, la seconda è già in crisi. Dalla Germania non emergono segnali di svolta positiva su manifattura e PIL, mentre la congiuntura si sta indebolendo anche in Francia e in Italia il PIL è tornato negativo nel secondo trimestre.

L’euro debole è tutt’altro che una buona notizia per noi consumatori europei, già alle prese con il carovita. Acquistiamo le materie prime perlopiù in dollari. Più la valuta americana è forte e maggiori i costi di importazione. Come se non bastasse, il petrolio viaggia di suo sopra 90 dollari al barile. Ciò spiega la stangata alla pompa, con la benzina sopra 2 euro al litro. Le previsioni non sono incoraggianti.

Euro debole male per famiglie e imprese

Poiché un euro debole tende a tenere alta l’inflazione, c’è il rischio che la BCE si veda costretta a tenere i tassi alti per un periodo ancora più lungo di quanto non abbia sin qui stimato. Sarebbe una brutta sorpresa, in particolare, per le famiglie che volessero contrarre un nuovo mutuo o che negli anni passati ne abbiano contratto uno a tasso variabile. Lo scotto lo pagherebbero anche le imprese, che per indebitarsi spenderebbero di più e inevitabilmente finirebbero per ridurre gli investimenti. In altre parole, l’euro debole potrebbe provocare e/o acuire la recessione economica.

A tenere l’euro debole è il crescente differenziale tra i rendimenti dei T-bond e quelli europei. Prendendo come riferimento per i secondi i Bund della Germania, abbiamo da una parte un decennale sopra il 4,50% e dall’altro uno in area 2,80%. Praticamente, un investitore che acquistasse un T-bond, otterrebbe oggi il 17% in più rispetto al Bund da qui alla scadenza. Naturale che i flussi dei capitali si dirigano Oltreoceano.

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