La Russia chiede che i pagamenti del gas avvengano in rubli, stringe accordi con l’India per regolare gli scambi nelle valute locali, mentre la Cina pagherà le forniture di petrolio all’Arabia Saudita in yuan e non più in dollari. Cronache di un pianeta in cerca di un nuovo equilibrio o quanti definiscono sempre più spesso un nuovo ordine mondiale. In queste settimane, il dominio incontrastato del dollaro è stato messo in dubbio da istituzioni rilevantissime nel panorama finanziario globale come Goldman Sachs e Fondo Monetario Internazionale.

Entrambe credono che il “congelamento” delle riserve valutarie russe rischi di affievolire la fiducia che il resto del mondo ha nei riguardi della valuta americana.

Il dollaro è valuta di riserva mondiale. Le banche centrali di tutto il pianeta ne acquistano grosse quantità attraverso asset in esso denominati, tra cui i titoli di stato americani. In questo modo, si assicurano un mezzo di pagamento credibile a universalmente accettato per regolare gli scambi commerciali e finanziari. Tra l’altro, gran parte delle materie prime si compra e vendere usando il dollaro anche quando nessuna delle parti è l’America.

Davvero quelli che stiamo cogliendo sono i primi segnali di dedollarizzazione? I tentativi di sganciarsi dal dollaro non sono di oggi. Cos’è l’euro, se non la volontà dell’Europa di darsi un assetto valutario autonomo dall’alleato americano? Con la fine della convertibilità del dollaro in oro nel 1971, il blocco occidentale andò nel caos. Le parità tra decine e decine di valute decise alla fine della Seconda Guerra Mondiale saltarono e contribuirono a fiaccare la crescita economica e la stabilità finanziaria. Una dozzina di paesi, tra cui l’Italia, optò negli anni per regolare i tassi di cambio all’interno di un “serpente monetario” noto come SME per tendere successivamente alla moneta unica.

La resilienza del dollaro

Tuttavia, ancora nel 2021 il 58,8% delle riserve valutarie risultava denominato in dollari e solamente il 20,6% in euro.

Venti anni prima, la quota del primo ammontava al 71,5%, delle monete rimpiazzate dal secondo al 19,2%. Il dominio del dollaro è stato solo parzialmente scalfito, ma non è emerso alcun concorrente nitido. E ancora oggi nessuno si azzarda anche solo ad immaginare scambi di materie prime come il petrolio in valute diverse. Perché? Il dollaro è credibile, forte, espressione di un’economia libera, robusta, aperta e trasparente.

L’euro stesso non possiede ancora oggi gli elementi sufficienti per impensierire Washington. L’Eurozona è un’economia forte, ma frammentata in diciannove mercati nazionali, priva di un unico mercato finanziario e sovrano, caratterizzata da una frammentazione legislativa, politica e persino linguistica che funge da ostacolo al consolidamento della moneta unica nei confronti delle altre valute mondiali. Figuriamoci lo yuan, valuta di un’economia (cinese) poco libera, relativamente ancora meno prospera di Nord America, Europa, Giappone e Australia, poco trasparente nelle modalità di fissazione degli scambi e non credibile come mezzo di pagamento per terzi.

C’è anche poi che il mercato dei capitali americano è e resterà ancora chissà per quanto il più liquido al mondo. New York è la piazza finanziaria più ambita del mondo. Non c’è alcuna Shanghai o Francoforte capace di minacciarla. Grazie a questo dominio incontrastato del dollaro, gli americani possono beneficiare di quello che l’allora ministro delle Finanze francese, Valery Giscard d’Estaing, definì un “privilège exorbitant”. In soldoni, possono prendere a prestito denaro a tassi d’interesse bassi e mai restarne a corto, data la continua ed enorme disponibilità del resto del mondo di portare i suoi capitali in America.

L’assenza di alternative immediate

Ma la guerra in Ucraina può fungere da spartiacque, sebbene sia estremamente improbabile che nel breve e medio periodo riesca a fiaccare il dominio del dollaro.

Le sanzioni alla Russia stanno mettendo in allerta decine di stati non allineati, i quali iniziano a scontare possibili scenari avversi similmente a quelli patiti da Mosca in questi mesi. Uno stesso alleato finora solido come Riad ha annunciato la volontà di diversificare maggiormente le proprie riserve valutarie. Detto questo, rimpiazzare il dollaro per cos’altro? Le uniche alternative credibili per dimensioni economiche sarebbero l’euro nell’emisfero occidentale e lo yen in Asia. Franco svizzero e sterlina sono altrettanto forti, ma dai mercati valutari meno liquidi, rispecchiando economie di minori dimensioni, specie nel caso della Svizzera.

Tuttavia, una delle ragioni che sta spingendo da anni a dubitare del dollaro si riscontra in misura ancora maggiore nell’euro e nello yen: sono emessi dalle rispettive banche centrali seguendo una politica monetaria non ortodossa. Le stamperie di BCE, Federal Reserve e Banca del Giappone sono note. Immensi flussi di liquidità iniettati e riversati sui mercati per cercare di irrobustire i tassi d’inflazione e al contempo sostenere le economie nazionali. Finché l’inflazione restava vicina allo zero, la fiducia in queste valute non ne risultava scalfita. Adesso, lo scenario è cambiato. Poiché con la pandemia anche i governi hanno fatto debiti senza curarsi dei costi, i prezzi al consumo sono esplosi e in giro per il mondo, fuori dall’Occidente, ci si chiede se dollaro, euro e yen, tanto per citare le valute principali, rispecchino ancora i fondamentali economici, ossia la creazione di ricchezza, oppure siano sempre più soldi del monopoli con cui anestetizzare i problemi di competitività che quest’area del mondo accusa ormai con ogni evidenza con la globalizzazione.

Sbaglia chi crede che siamo prossimi alla fine del dollaro come valuta di riserva mondiale, semplicemente perché un’alternativa pronta nel mondo non esiste. Se è vero che gli USA stiano mostrandosi meno rassicuranti con l’apparato sanzionatorio esibito contro la Russia, di certo ciò non rende più credibili sistemi politici come Cina e Russia, autocrazie non trasparenti e scarsamente rispettose del libero mercato, oltre che dei diritti umani basilari.

Attenzione, però, a tirare troppo la corda. Gran parte del pianeta è occupato da stati non democratici, illiberali e più sentimentalmente vicini a Pechino che non a Washington. Se dovesse emergere il rischio di sanzioni contro chicchessia dissenta dalla linea dell’Occidente, questa enorme area grigia del pianeta riterrà più sicuro portare i capitali verso regimi dall’assetto geopolitico più simile. Sarebbe l’inizio della decadenza del dollaro e dello smantellamento di parte della ricchezza americana fondata sul “privilège exorbitant”.

[email protected]