Genio e sregolatezza da qualche tempo a questa parte hanno un nome e cognome specifici: Elon Musk. Il fondatore e CEO di Tesla, la prima casa produttrice di auto elettriche nel mondo, ormai è in grado di provocare crolli e fomentare boom azionari con un semplice tweet. Seguitissimo sui social, ha un difetto: parla troppo. E qualche anno fa, se ne accorse anche la Securities and Exchange Commission, la Consob americana, che gli intimò di assoggettare i suoi tweet a un controllo legale preventivo, altrimenti minacciandolo di gravi conseguenze, tra cui un periodo di soggiorno nelle patrie galere.

Diventato l’uomo più ricco del mondo, il primo ad avere superato con il suo patrimonio la soglia dei 300 miliardi di dollari, nell’ultima settimana Musk è al centro delle cronache finanziarie per avere venduto azioni Tesla per un valore di poco inferiore ai 7 miliardi. Qualche giorno prima, il bizzarro magnate di origine sudafricana aveva lanciato un sondaggio su Twitter tra i suoi follower, chiedendo loro se avrebbe dovuto vendere il 10% delle sue azioni. La risposta è stata affermativa.

Tuttavia, Musk non ha venduto le azioni Tesla per ottemperare ai risultati del sondaggio, quanto per il bisogno di cash. Tra alcuni mesi, dovrà pagare al fisco americano qualcosa come 12,5 miliardi. Una cifra mostruosa, che corrisponde al PIL di svariate economie emergenti. La buona notizia è che il modo per pagare il dovuto certamente lo troverà; la cattiva, che avrebbe potuto risparmiarselo. Nelle stesse ore in cui è uscita la notizia della maxi-vendita delle azioni Tesla, ne è comparsa un’altra di segno opposto, vale a dire che egli abbia esercitato il diritto di opzione su un pacchetto di circa 2,15 milioni di titoli dal controvalore di 2,3 miliardi e pagato solamente 13,4 milioni.

Elon Musk e il nodo delle stock options

E qui arriviamo all’origine del suo maxi-debito fiscale. Nel 2012, il board di Tesla gli propose la sottoscrizione di un piano di stock options, in base al quale egli avrebbe potuto acquisire fino a un massimo di 26.374.

505 azioni Tesla al prezzo cadauno di 6,24 dollari. Al tempo, sul mercato le azioni valevano intorno ai 6 dollari. Musk accettò e di lì in avanti, al realizzarsi delle 10 condizioni allegate, iniziò a garantirsi il diritto di opzione a blocchi di 2,6 milioni di azioni alla volta. Ma non effettuò l’esercizio immediatamente, che sul piano legale gli avrebbe imposto di pagare le imposte al fisco sulla plusvalenza realizzata. E negli USA, le aliquote applicate sono quelle ordinarie sui redditi delle persone fisiche. Attualmente, quelle federali arrivano al 37%.

E qui Musk ha commesso un errore grossolano. Le azioni Tesla sono arrivate a valere 1.230 dollari prima del sondaggio su Twitter. Peccato che il magnate abbia deciso di esercitare il diritto di opzione in un’unica soluzione, adesso che si avvicina la scadenza decennale del piano. In questo modo, dovrà versare al fisco americano le imposte su una plusvalenza enorme, data dalla differenza tra il prezzo delle azioni sul mercato e i 6,24 dollari pattuiti nel 2012. Se Musk avesse esercitato l’opzione man mano che maturava il diritto nel corso di questo decennio, Fortune calcola che avrebbe dovuto pagare “solamente” 598,9 milioni, anziché i 12,5 miliardi ora dovuti. In pratica, avrebbe risparmiato all’incirca 12 miliardi di tasse.

In sostanza, Elon Musk ha sbagliato a fare di conto. Anzi, ad averla combinata grossa è stato il suo entourage, perché appare obiettivamente ridicolo che anche un pessimo ragioniere non gli abbia suggerito di sbrigarsi ad esercitare l’opzione per minimizzare il carico fiscale. A meno che l’uomo non credesse che le azioni Tesla fossero in bolla e che, prima o poi, si sarebbero riportate su livelli molto più simili a quelli toccati prima del boom iniziato un paio di anni fa.

O che forse non disponesse della liquidità necessaria all’acquisto o non volesse intaccarla? Quel che è certo è che oggi non dispone di tutta questa liquidità per pagare le tasse, per cui dovrà vendere parte delle oltre 227 milioni di azioni Tesla possedute, il cui valore di mercato supera i 240 miliardi. In alternativa, potrà ricorrere a un prestito bancario garantito da tale capitale.

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