Questa settimana, lo sheqel israeliano ha toccato i massimi contro il dollaro dal 1996, scendendo a un tasso di cambio di 3,05. Gli analisti concordano sul fatto che il rafforzamento non sarebbe di breve durata. E’ il boom dell’economia a trainarlo. Il PIL è atteso in crescita del 7% quest’anno. Arriva dopo il -2,2% registrato nel 2020 a causa della pandemia. In buona sostanza, alla fine del 2021 la ricchezza annua prodotta da Israele supererà quella pre-Covid del 4,6%. Un caso più unico che raro al mondo.

Ma a cosa si deve questo boom dell’economia? Il paese sta registrando afflussi elevati di capitali esteri, specie diretti a favore del comparto high-tech. Le esportazioni di questo incidono per il 14% del PIL. Si stima che beneficino di circa 30 miliardi di investimenti stranieri solo per quest’anno. Anche grazie a questo afflusso, la bilancia dei pagamenti dovrebbe chiudere per quest’anno in attivo del 5,5%% del PIL. Ricordiamo, poi, che Israele è stato tra i paesi al mondo con il più alto tasso di vaccinazione e, soprattutto, il più veloce nel somministrare le dosi alla popolazione contro il Covid, potendo così allentare le restrizioni prima degli altri.

Non è tutto. I fondi pensione sono costretti per legge a non superare certi limiti nella detenzione di asset in valute straniere. A causa di ciò, nel corso del 2021 avrebbero venduto qualcosa come circa 20 miliardi di dollari di titoli all’estero. E poi c’è la banca centrale. Tiene ancora i tassi allo 0,1%, ma il governatore Amir Yaron ha fatto sapere che il programma di acquisti di valute straniere per indebolire lo sheqel non è stato prorogato dopo la scadenza del 27 ottobre.

Boom economia trainato dall’high-tech

E così, dal 31 gennaio scorso, cioè in era pandemica, lo sheqel israeliano risulta essere tra le valute al mondo che più si sono apprezzate contro il dollaro, segnando un rialzo di quasi l’11%.

Solo quest’anno, è arrivato a guadagnare il 4%. Nel 2020, quando il rafforzamento era diventato evidente e aveva fatto temere il rischio deflazione, Yaron varò acquisti per 21 miliardi di dollari di valute straniere, seguiti da 30 miliardi quest’anno. Ma il programma si è rivelato insufficiente allo scopo e, comunque, non esiste più.

Fatto sta che le associazioni manifatturiere stanno protestando. Per loro è stato uno choc verificare con mano che il cambio si sia rafforzato del 3% contro il dollaro in appena una settimana. A rischio vi sono gli utili delle imprese esportatrici, i cui ricavi avvengono perlopiù in valute straniere, nonché la competitività sui mercati stranieri. Marian Cohen, a capo dell’Associazione delle Imprese High-Tech, ha fatto notare come questo trend rischi di costringere alla delocalizzazione della produzione all’estero, quando già il comparto impiega 70.000 lavoratori fuori da Israele.

Il super sheqel funge da freno all’inflazione, salita al 2,5%, all’interno del range 1-3% fissato dalla banca centrale. Tuttavia, con la corsa dei prezzi al consumo vigente un po’ in tutto il pianeta, quasi certamente il governatore Aron non se la sentirà affatto di indebolire il cambio e a maggior ragione punterà a portare avanti una politica monetaria più restrittiva. Un caso di successo, quindi, sebbene le imprese votate all’export lo stiano vivendo con animo negativo. Peccato per loro che gli analisti prevedano un ulteriore rafforzamento dello sheqel. Leader Capital Markets stima il tasso di cambio a 2,95 entro metà 2022, cioè a quasi +5% da oggi. E anche Goldman Sachs vede un trend positivo per i prossimi sei mesi.

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