Aveva il vento in poppa sin dal 26 gennaio 2020, quando ottenne senza i patemi d’animo temuti un secondo mandato come governatore dell’Emilia-Romagna. I sondaggi quella volta lo avevano sottostimato, mentre l’altro per la sfida tutta interna al Partito Democratico (PD) dell’altro ieri lo avevano sovrastimato. Compensazioni, si dirà. Fatto sta che Stefano Bonaccini perde clamorosamente le elezioni primarie dopo avere stravinto nei circoli contro Elly Schlein e altre due candidature di servizio. Un evento che non solo segna la possibile fine della sua carriera politica, ma soprattutto fa saltare in aria ciò che rimane del PD delle origini.

E dire che da presidente della Conferenza Stato-Regioni, nei mesi duri della pandemia aveva goduto di parecchia sovraesposizione mediatica. I grandi giornali stavano con lui. Neppure gli avversari ne parlavano male, perché Bonaccini è indubbiamente un signore perbene e rispettoso di tutti.

Paga mobilitazione pro-Schlein

Eppure ha perso. E forse nel modo peggiore. Non solo contro una Schlein tutta a sinistra, ma è stato durissimamente sconfitto in tutte le grandi città del Nord e persino in quelle del Sud come a Napoli e Palermo. Ha vinto solo nel Meridione. Il contrario delle aspettative. Uomo pragmatico, moderato con un esordio in politica da comunista, tutti pensavamo che avrebbe vinto proprio nel Settentrione, dove meglio della sua ex vice avrebbe rappresentato le istanze dei ceti moderati. I sondaggisti confermavano la netta vittoria di Bonaccini. L’errore di fondo è stato uno: non si votava alle politiche, bensì all’interno dello stesso PD. Partito, che anche alle elezioni regionali di qualche settimana fa è risultato tenere consensi solo nei centri delle grandi città.

I sondaggi hanno trascurato un altro dato. Alle primarie del PD vince chi riesce a mobilitare più truppe. E generalmente i candidati più moderati non partono avvantaggiati. L’elettorato più radicale e progressista ha una cultura della mobilitazione che lo porta ad incidere anche quando è minoritario.

Insomma, Bonaccini è rimasto trafitto dalle modalità del voto. Ma sarebbe ingeneroso pensare che Schlein abbia vinto solo perché i suoi si sono mobilitati di più. Ella rappresenta uno spirito di rivalsa di quella sinistra storica che da troppi anni si percepisce ai margini, specie quando paradossalmente governa. Enrico Letta lo aveva capito e, pur venendo da una tradizione democristiana, aveva tentato una svolta progressista tanto improvvida quanto poco credibile.

Sconfitta di Bonaccini è fine del centrismo

Con la sconfitta di Bonaccini, il centrismo in Italia è finito. Paradigma indiscusso della politica nazionale fino a poco tempo fa, a destra come a sinistra hanno preso il sopravvento le ali. L’elettorato non è impazzito, bensì ha reagito allo stato delle cose. Un’esperienza politica o umana in generale si conclude quando non è più di alcun giovamento. E il centro non è riuscito negli ultimi decenni a salvaguardare il benessere degli italiani, né a tutelare il prestigio nazionale all’estero. Siamo una Nazione marginale in Europa, in costante declino economico e persino demografico, sotto sorveglianza da parte dei mercati, derisi e vilipesi dalle altre cancellerie.

Dopo la fine della Prima Repubblica, entrambe le principali coalizioni avevano mantenuto salda la forza del rispettivo centro. Silvio Berlusconi con Forza Italia, Romano Prodi con l’Ulivo e successivamente arrivò il PD “a vocazione maggioritaria”. I risultati sono stati imbarazzanti per il vissuto pratico dei cittadini. La sinistra è stata silenziata nel nome dell’Europa, dei mercati, delle alte cariche istituzionali. Anzi, essa stessa si è trasformata per compiacere finanzieri, industriali e commissari europei. Ha perso l’anima popolare e i voti. Con Schlein non dobbiamo aspettarci del tutto la fine di questa ingessatura istituzionale, semmai tenterà di recuperare consensi puntando su ricette economiche più classiche per i progressisti (tassa e spendi) e sui diritti civili (Lgbtq+, immigrati, femminismo, ecc.).

Futuro PD incerto

Il futuro del PD si presenta più incerto che mai. Ricordiamo che i circoli avevano votato nettamente per Bonaccini. Questo significa che l’apparato del PD sta con il governatore e subirà la Schlein come segretaria. Il precedente di Matteo Renzi in tal senso dovrebbe insegnare che non si va troppo lontani contro l’establishment del proprio stesso partito. E il fiorentino era premier forte di un consenso popolare inimmaginabile per il PD, il celebre 40,8% riscosso alle elezioni europee del 2014. Ci saranno fuoriuscite in Parlamento e nelle regioni? Al Sud, dove Vincenzo De Luca si è speso per Bonaccini, cosa faranno i dirigenti? Un’eventuale alleanza con il Movimento 5 Stelle sarebbe salutare più per il PD o per Giuseppe Conte o per nessuno dei due? I rapporti con il sistema che conta rimarranno intatti o industria e finanza guarderanno a destra, come sarebbe normale che fosse in qualsiasi paese al mondo?

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