Non si è dovuto attendere notte fonda per farsi un’idea molto credibile su chi fosse il nuovo segretario del Partito Democratico. A sorpresa, contro tutti i pronostici e ribaltando i voti dei circoli, Elly Schlein ha vinto contro Stefano Bonaccini. La (ex) vice che batte il governatore dell’Emilia-Romagna. Una corsa tutta emiliana dall’esito apparentemente scontato. Cittadina italiana, svizzera e statunitense, 38 anni, lesbica dichiarata e già parte del movimento “OccupyPD”, cambia, anzi stravolge, i connotati del partito fondato nel 2007 dalla fusione tra DS e Margherita e che ebbe come primo segretario Walter (Uolter) Veltroni.

E non solo perché lo sposta programmaticamente a sinistra. Basta porsi una domanda: il PD di Schlein ha a che fare qualcosa con il presidente Sergio Mattarella, che da lì è uscito?

Primarie PD, sconfitto l’apparato

La prima analisi che verrebbe da fare, riguarda la contrapposizione circoli-militanti. La dice lunga sullo stato in cui versa il PD. I primi, cioè l’apparato di partito, aveva scelto a netta maggioranza Bonaccini. Pur venendo dallo storico Partito Comunista, il governatore è considerato pragmatico, più moderato, rassicurante verso l’elettorato non di sinistra e che strizza l’occhio ai renziani. Non a caso, ieri sera i più compiaciuti della vittoria di Schlein sono stati Matteo Renzi e Carlo Calenda. Sono pronti a spalancare le porte a chi non si sentirà a casa nel PD del nuovo corso. Tristezza immaginabile nel cuore di Giuseppe Conte. Potrà confidare in una più probabile alleanza con il PD adesso, ma perde la sua centralità nella ri-costruzione dell’area progressista.

Schlein non è una radicale di sinistra alla vecchia maniera. E’ una sostenitrice della politica che oggi definiremmo “woke”. Per intenderci, quelli che vogliono riscrivere libri e linguaggio nei film per eliminare termini considerati sessisti, omofobi, razzisti, afferenti al body shaming, ecc. E’ una veemente ambientalista e, come avrete capito, una fautrice dei diritti civili e un’immigrazionista.

In parole spicciole, una radicale alla Emma Bonino, ma che si ritrova a guidare un partito nato con ambizioni maggioritarie. Il rischio è che finisca per rintanarlo definitivamente nelle Ztl delle grandi città.

Schlein vince al Nord, Bonaccino al Sud

E veniamo al problema dei problemi che il PD di Schlein dovrà fronteggiare nei prossimi mesi. La vittoria di ieri è avvenuta essenzialmente al Nord e nelle grandi città, dove la giovane ha ottenuto fino a oltre i due terzi dei consensi. Bonaccini ha vinto al Sud, ma non in realtà importanti come Napoli e Palermo. Dunque, i democratici con Schlein leader rischiano di arretrare elettoralmente ancora di più nel Meridione e di acuire quei tratti caratteristici degli ultimi anni, ossia di essere diventati il partito dell’élite urbana. Di più: ha vinto con meno del 54% dei consensi, spia di un mandato non così netto e chiaro come auspicato. Esiste quasi la metà dell’elettorato dem a sentirsi rappresentato dall’altro candidato.

Nel suo discorso da vincitrice, Schlein ha dichiarato che lotterà contro “tutte le disuguaglianze”. In via di principio, non un’affermazione caratterizzante in sé. Ma se rispecchierà le attese, porrà fine una volta per tutte al partito contiguo al mondo della grande industria e della finanza che è stato sin dalla nascita. E non è un fatto da poco. Il PD si era dato una fisionomia di partito del centro-sinistra europeista, amico di finanzieri e industriali, capace di essere riferimento dell’intero sistema per via delle sue eterne mediazioni al suo interno tra visioni politiche spesso contrapposte. In pratica, una mini-DC da usare all’occorrenza come “riserva della Repubblica”.

Va da sé che questo progetto delle origini non ha avuto successo. Già da anni il PD ha perso i ceti sociali di riferimento ed è diventato un partito dei garantiti, dei redditi medio-alti e dei centri cittadini.

Lo confermano i dati delle ultime elezioni politiche. Bonaccini intendeva proporre un progetto per sperare di recuperare parte di quel ceto medio e popolare che si è allontanato per incapacità del Nazareno di rappresentarlo. Con Schlein tale fenomeno sembra destinato ad acuirsi. In altre parole, il PD non sarebbe più un partito-perno del centro-sinistra, ma una formazione della sinistra più progressista. Andrebbe molto più d’accordo con il Movimento 5 Stelle, ma reciderebbe ogni rapporto con il centro calendiano-renziano.

Cambiano connotati del PD nato nel 2007

Viste le premesse, il PD di Schlein dovrebbe avere minori remore nel proporre politiche di redistribuzione della ricchezza tramite la leva fiscale. Tra le altre cose, potrebbe riesumare la patrimoniale, argomento già tirato fuori alla vigilia delle primarie da Gianni Cuperlo, uno dei quattro candidati in corsa nel voto presso i circoli. E quale sarà la sua impostazione sui conti pubblici? Perseguiterà con una visione improntata sull’austerità o abbraccerà definitivamente il progressismo à la Keynes anche qui? E sulla guerra, militarismo o pacifismo? I primi ad essere attoniti sono i quadri dirigenti del “vecchio” PD.

Non siamo ai tempi di Bersani, quando l’ala centrista mal digerì il nuovo segretario arrivato dal mondo ex comunista. Tutti i precedenti segretari sono state personalità collaudate, con le mani in pasta nella gestione del potere locale e/o nazionale, gente pragmatica e fin troppo “usato sicuro” per auto-definizione bersaniana. Fece eccezione Renzi, non a caso leader detestatissimo (dietro le quinte) tra i vertici di partito. Ma era un centrista, accusato semmai di avere ampliato fin troppo l’elettorato del PD, inglobandone una grossa fetta di moderati del vecchio centro-destra.

Si parlò giustamente di “mutazione genetica”, da cui furono partoriti provvedimenti come il Jobs Act e la riforma della Costituzione. Con Schlein siamo in una situazione simile, ma più estrema e tutta a sinistra, dove gli spazi di crescita appaiono ben minori.

Anzi, vedremo nei prossimi mesi se l’unità del partito reggerà dinnanzi a questa vittoria inattesa e non auspicata dai dirigenti. E vedremo se la base reagirà con entusiasmo all’ennesimo ribaltamento delle linee guida o se, al contrario, si sentirà frastornato dal dover cambiare linguaggio e comportamento istituzionale dopo aver fatto dell’istituzionalismo un tratto caratteristico e identitario da contrapporre alla destra “sguaiata e poco istituzionale” di questi anni.

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