I prezzi al consumo galoppano di mese in mese e le vendite al dettaglio nell’Eurozona hanno già iniziato a scendere. Le famiglie sono costrette a spendere di più per energia e alimentari e devono tagliare necessariamente le spese “superflue”, dati i redditi stagnanti. L’inflazione è tornata ad essere un problema dopo oltre tre decenni di tregua in tutto l’Occidente. Addirittura, a luglio nel Regno Unito è salita sopra la soglia psicologica del 10%. E’ stato il primo paese occidentale ad avere registrato la doppia cifra.

Ciascuno di noi confida e spera che l’inflazione ripieghi quanto prima e i prezzi si stabilizzino tra pochi mesi. Se dovessimo guardare al precedente degli anni Settanta, tale speranza sarebbe vana.

Il lungo boom dell’inflazione

Era la fine del 1973, quando l’OPEC decise di punire l’Occidente per il suo sostegno a Israele nella Guerra dei Sei Giorni. Impose l’embargo contro Europa e Nord America e le quotazioni petrolifere quadruplicarono. I tassi d’inflazione esplosero ovunque. Solo la Germania evitò la doppia cifra, grazie alla reazione energica e pronta della Bundesbank, che alzò i tassi d’interesse e li tenne in territorio positivo in termini reali.

In Italia, l’inflazione era ancora al 5% nella primavera del 1972. Un anno dopo, risultava già raddoppiata. L’apice fu toccato nel novembre del 1974, quando raggiunse il 25,20%. Tuttavia, ancora agli inizi degli anni Ottanta tornava a superare il 20% dopo la Rivoluzione Islamica dell’ayatollah Khomeini in Iran. Bisognerà attendere il mese di ottobre del 1984 per trovare un’inflazione sotto il 10%. In pratica, i prezzi al consumo nel nostro Paese crebbero a doppia cifra per circa undici anni e mezzo.

E guardando alla curva, riscontriamo che solamente nel 1987 i prezzi iniziano a stabilizzarsi attorno a tassi di crescita del 5-6%. In altre parole, occorsero quindici anni per tornare alla normalità.

Pensate se fosse così anche stavolta! Con un’inflazione media annua al 10%, tra dieci anni avremo perso oltre il 60% del potere di acquisto. Se non riuscissimo a impiegare i nostri risparmi in modo oculato, diventeremmo molto più poveri.

Similitudini con anni Settanta

Per fortuna, la storia non si ripete mai identica a sé stessa. Anche se bisogna ammettere che con la crisi degli anni Settanta esistono diverse similitudini. La prima è che già prima della corsa dell’inflazione, le economie occidentali rallentavano per effetto del completamento dell’industrializzazione. Da almeno un decennio, invece, le stesse economie stanno faticando a crescere per via della delocalizzazione produttiva seguita alla globalizzazione.

Secondariamente, anche allora come oggi l’inflazione scaturì dalla crisi dell’energia, a sua volta conseguenza di tensioni geopolitiche. Terzo, le banche centrali tentennarono a reagire al boom dei prezzi, ritenendo che poco avrebbero potuto tassi d’interesse più alti per contrastare una crisi legata all’offerta di materie prime.

Differenze tra le due crisi

Ma esistono anche vistose differenze. La prima riguarda la differente politica fiscale dei governi, che allora fu espansiva, specie in paesi come l’Italia. Ciò contribuì a sostenere l’inflazione, rendendo più complicato il compito delle banche centrali. Oggigiorno, invece, usciamo da un biennio di forti deficit spending in reazione alla pandemia e che certamente hanno contribuito a far galoppare l’inflazione. Tuttavia, non sembra che i governi abbiano intenzione per i prossimi anni di continuare a indebitarsi a ritmi sostenuti. A differenza di mezzo secolo fa, siamo già iper-indebitati.

E se negli anni Settanta e fino a metà anni Ottanta i redditi erano ben agganciati all’inflazione, non così è oggi. La “scala mobile”, in vigore in Italia per meno di un decennio, fu considerato un meccanismo perverso tramite il quale si innescò una spirale inflazione-redditi-inflazione.

Invece, nei primi mesi di quest’anno l’ISTAT certificava ancora una crescita tendenziale dei salari italiani sotto l’1%. Ciò significa che il rischio di una spirale negativa non sarebbe così forte come decenni fa.

Società cambiata

E bisogna considerare che la popolazione dell’Occidente negli anni Settanta e Ottanta era ancora giovane, mentre da tempo è sempre più anziana. Ciò si riflette in una tendenza al risparmio, che a sua volta comprime i consumi e deprime i prezzi. Lo stesso dicasi per il grado di apertura dei mercati. Allora si competeva poco e tra economie di simile grado di sviluppo (il mondo era diviso in blocchi geopolitici), mentre la globalizzazione ha reso la competizione illimitata, sebbene con la pandemia sia entrata in crisi anche sul piano ideologico. Le imprese non riescono facilmente ad alzare i prezzi e ciò attenua i rischi di un’inflazione fuori controllo a lungo.

Infine, le banche centrali sembrano voler rimediare ai loro stessi errori. Pur titubanti e in colpevole e grave ritardo, stanno alzando i tassi d’interesse per cercare di tenere ancorate le aspettative d’inflazione. Proprio l’esperienza di mezzo secolo fa ha insegnato loro che l’inflazione la si combatte riducendo l’eccesso di liquidità sui mercati. Che questo implichi di accettare il rischio di una recessione, è un altro paio di maniche. Accadde negli USA di Ronald Reagan e nel Regno Unito di Margaret Thatcher. Ma meglio una recessione controllata che una subita e destabilizzante.

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