Nei giorni scorsi, sull’aereo che lo riportava in Turchia da una visita ufficiale in Turkmenistan, il presidente Erdogan è stato molto esplicito con i giornalisti che gli chiedevano sul tracollo della lira turca: “non ho mai accettato, non accetto e non accetterò mai un rialzo dei tassi”. Un’affermazione, che ha gettato nel baratro la valuta emergente, la quale martedì è arrivata a scambiare a 13,70 contro il dollaro americano. Aveva iniziato l’anno a 7,43. Le perdite superano il 40%. Ieri, poi, lo stesso presidente ha spiegato che “i tassi scenderanno considerevolmente fino alle elezioni”.

Erdogan sostiene che i bassi tassi d’interesse ridurrebbero l’inflazione nel tempo, generando maggiori investimenti e, quindi, una maggiore produzione di beni e servizi. Un’opinione che si scontra con la teoria economica diffusa e accettata nel mondo. Le sue interferenze nella politica monetaria hanno screditato la banca centrale. L’altro ieri, il responsabile per i mercati dell’istituto, Doruk Kucuksarac, si è dimesso.

Difficile credere che Erdogan non abbia cognizione delle conseguenze su lira turca e inflazione delle sue azioni. Il sospetto è che egli punti proprio a indebolire il cambio per cercare di accrescere la competitività dell’economia domestica. Se guardiamo il grafico delle partite correnti, sintesi dei saldi commerciali e finanziari, notiamo che la Turchia soffre di deficit cronici. Gli unici momenti in cui ha registrato un surplus è stato subito dopo il crollo della lira turca nell’estate del 2018. E anche negli ultimi mesi, sta ripetendosi la stessa situazione.

Lira turca giù e inflazione su

Anche forse per effetto del cambio debole, quest’anno il turismo in Turchia si mostra in forte ripresa, con entrate stimate in 22 miliardi di dollari attraverso 28 milioni di ingressi dall’estero. Nel 2020, erano sprofondate a 12,1 miliardi dai 34,5 miliardi del 2019, anno in cui le presenze straniere avevano toccato il record di 45 milioni.

Erdogan starebbe cercando di far crescere l’economia turca (+7,4% il PIL nel terzo trimestre) a colpi di svalutazione indotta. Ha espressamente dichiarato che i bassi tassi faranno aumentare la produzione manifatturiera e che non intende attirare capitali esteri, che potrebbero essere ritirati velocemente (“hot money”), credendo che solo l’aumento degli investimenti e della produzione interna finiranno per abbassare l’inflazione al target del 5% fissato dalla banca centrale.

Ma le famiglie non la pensano così. Proteste spontanee si sono registrate nei giorni scorsi da parte di migliaia di persone, scese in strada per urlare la loro rabbia contro il carovita. Ormai, la stessa produzione di generi alimentari di base è a rischio. I prezzi non arrivano a coprire i costi e non sempre possono essere alzati, in quanto impatterebbero troppo negativamente sui clienti. Il koulouri, tipico pane ricoperto dai semi di sesamo importato dalla cucina greca, è venduto a metà per via dei rincari altrimenti insostenibili per molti consumatori. Molti di loro hanno rinunciato a prendere il tè con gli amici nei bar, dato che una tazzina risulta salita a 7 lire, pari a quasi 50 centesimi di euro.

Già oltre la metà dei risparmi delle famiglie è depositata in dollari. In soli sette giorni, sarebbero saliti di 1 miliardo, segno della crescente dollarizzazione dell’economia turca. Chi può, cerca di fronteggiare il carovita così. L’inflazione, a poco meno del 20% a ottobre, potrebbe salire fino al 30% nei prossimi mesi. Sempre che la lira turca non continui a scivolare, innalzando ulteriormente il costo dei beni importati. Difficile che Erdogan cambi strategia prima delle elezioni del 2023. E ha già replicato alle opposizioni, che gli chiedevano elezioni anticipate, che l’appuntamento con le urne avverrà secondo i tempi in programma.

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