Ieri, il mercato del petrolio ha vissuto una seduta che resterà nella storia, perché mai era successo quello che vi stiamo per raccontare. Le quotazioni del West Texas Intermediate (WTI) americano, a un certo punto, sono precipitate fino a un minimo storico di -37,63 dollari al barile, segnando un crollo del 307%. Sì, avete letto bene. I prezzi del greggio sono scesi sottozero, diventando negativi per la prima volta in assoluto, cioè chi ha venduto ha pagato i clienti perché comprassero.

Nella mattinata odierna, già i prezzi si sono stabilizzati sopra lo zero, ma adesso vale la pena capire cosa sia successo di così clamoroso.

Il petrolio sprofonda ai minimi dal ’99, clienti presto pagati per comprarselo

I contratti petroliferi sono cosiddetti “futures”, cioè fissano la possibilità di comprare e vendere i barili a un dato prezzo ed entro una certa data. Oggi, scadono i contratti per le consegne di WTI a maggio, da domani si inizia a vendere per le consegne a giugno. Ed è stato proprio questo fattore tecnico ad essersi rivelato determinante per il crollo di ieri. Dovete sapere che chi compra tramite questi futures non intende quasi mai realmente ricevere i barili alla scadenza, quanto scommettere al rialzo o al ribasso sulle quotazioni. Per questo, rivende fino a un attimo prima per liberarsene e realizzare l’eventuale plusvalenza o registrando l’inevitabile perdita.

Ieri, in prossimità della scadenza di maggio, tutti volevano disfarsi del petrolio, anche perché lo spazio fisico per riceverlo in consegna e depositarlo si sta esaurendo un po’ in tutta l’America e affittarlo costa ogni giorno di più. Per togliersi di dosso l’incombenza, si sono precipitati a vendere a qualsiasi prezzo, finendo persino per pagare gli acquirenti, pur di sbarazzarsene. E così, si è scesi fino ai prezzi negativi, impensabili fino a qualche ora prima.

Nessuno ha pensato bene di tenersi il contratto, perché la domanda di greggio nel mondo risulterebbe al momento di almeno 25 milioni di barili al giorno più bassa dell’offerta, con quest’ultima che verrà ridotta di nemmeno 10 milioni di barili al giorno nei prossimi due mesi, a seguito dell’accordo dell’OPEC Plus.

Cosa succede alle compagnie petrolifere

Questa è la spiegazione sul lato finanziario della vicenda, ma ve n’è un’altra parallela e complementare sul lato del mercato fisico. Perché è pur vero che le compagnie americane continuano a estrarre greggio in quantità poco inferiori ai massimi storici toccati nelle settimane precedenti, malgrado tutte stiano accusando perdite ormai rilevanti a questi prezzi. Tenete conto che mediamente una compagnia americana produce in perdita sotto 40-45 dollari al barile. I prezzi si mostrano spesso più alti per il comparto del cosiddetto “fracking”, quella tecnica estrattiva che consiste nel ricavare la materia prima dalle rocce e che sta facendo da un decennio a questa parte la fortuna degli USA con lo “shale oil”.

Il petrolio non rimbalza, l’accorso russo-saudita sembra acqua fresca

Come mai continuano a produrre in perdita? Il fenomeno non riguarda solo le compagnie americane, ma un po’ quelle di tutto il mondo. Il fatto è che i costi fissi incidono fortemente sulle estrazioni, mentre quelli variabili tendono a incidere in misura molto meno marcata. Dunque, una volta aperto un pozzo, alla compagnia conviene utilizzarlo il più possibile, perché chiuderlo per poi riaprirlo implica il sostenimento futuro di extra-costi che incideranno sui margini. Inoltre, licenziare subito i dipendenti per la riduzione dell’attività non è mai una buona idea, perché quando le quotazioni risalgono non sarebbe altrettanto facile riassumere manodopera esperta. E tutte le compagnie tendono a presidiare il mercato per non perdere le quote di clientela acquisite, spesso anche mettendo in conto alcune perdite temporanee.

Infine, alcune realtà molto indebitate puntano a continuare nelle estrazioni per fatturare qualcosa con cui ripagare i debiti, anziché fermare le attività e non incassare un dollaro. Ed è così che si sono creati i famosi “bottlenecks”, i colli di bottiglia particolarmente stretti nel Canada, dove nella regione Alberta, ricca di petrolio, i prezzi sono scesi a livelli ancora più critici del WTI, dovendo scontare anche i costi di trasporto rappresentati dalla pipeline fino agli USA. E non avendo più dove caricare il greggio estratto, ecco che la vendita si è fatta particolarmente obbligata.

Faremo il pieno per pochi spiccioli?

Fin qui vi abbiamo parlato del WTI americano, ma lo stesso, pur con una minore intensità, sta accadendo nel resto del mondo con il Brent, le cui quotazioni sono scese a questa mattina in area 25 dollari. Anche qui vi sono parecchi colli di bottiglia, tra cui in Arabia Saudita, dove il greggio nelle scorse settimane è stato caricato su navi cargo per la bassa disponibilità di spazi fisici terrestri. I sauditi riescono a produrre con profitto già a pochi dollari, ma hanno bisogno di quotazioni sopra gli 80 dollari per tenere il bilancio statale in pareggio. La Russia ha un minore problema logistico, essendo legata alla clientela europea da pipeline che arrivano fino ai mercati di sbocco.

E adesso rispondiamo alla domanda che molti di noi ci stiamo ponendo: arriveremo davvero a fare benzina gratis o quasi, date le assurdità che stanno verificando sui mercati internazionali? Rispondiamo, anzitutto, facendo notare come i prezzi del nostro carburante dipendano dall’andamento del Brent, non del WTI, sebbene tra i due vi sia una forte correlazione, non fosse altro che perché non sia sostenibile a lungo una forte discrepanza tra le relative quotazioni, altrimenti o il resto del mondo si precipita a comprare negli USA o gli USA si precipitano a comprare nel resto del mondo. Ieri, la benzina al litro in Italia mediamente costava sopra 1,40 euro, la diesel poco più di 1,30 euro.

Questi prezzi sono abbastanza bassi, ma nemmeno troppo, date le quotazioni. Cosa sta succedendo? La risposta è molto pratica: le stazioni di servizio non stanno adeguandosi del tutto all’andamento sui mercati, perché devono fronteggiare un crollo della domanda mai visto prima con il “lockdown” imposto dal governo. E dovendo sostenere costi fissi insopprimibili e spesso parecchio incisivi sui margini, stanno spalmandoli su minori erogazioni, per cui tagliano un po’ i prezzi alla pompa, ma non quanto dovrebbero teoricamente, altrimenti sarebbero costretti a chiudere. Per il resto, le accise rappresentano un costo fisso per l’automobilista, pari a 0,88 euro al litro per la verde e a quasi 0,75 euro per il gasolio, IVA inclusa. Dunque, il sogno di fare il pieno con qualche euro non sembra alla portata nemmeno in situazioni straordinarie come questa che stiamo vivendo.

Prezzo del petrolio ai minimi dal 2002, ma la benzina costa davvero tanto meno?

[email protected]