Se i tifosi giunti in Qatar nelle scorse settimane per seguire i mondiali di calcio hanno dovuto sottoporsi a rigide regole comportamentali, tra cui il divieto di bere alcolici fuori dalle aree autorizzate, nella vicina Dubai si va controcorrente. L’emirato ha annunciato che per l’intero 2023 la Municipalità sospenderà la riscossione dell’imposta del 30% sugli alcolici. Una notizia inattesa e che ha fatto felici i residenti, dove una pinta di birra in media costa 15 dollari e un bicchiere di vino sui 20 dollari.

E non è l’unica novità in materia. Fino ad ora, per acquistare alcolici fuori dai bar era necessario essere in possesso di una licenza da rinnovare annualmente al costo di 270 dirham, circa 69,23 euro. La licenza resta, ma sarà per tutti gratis. Qui, un po’ meno contenti sono stati coloro che l’avevano acquistata di recente, persino qualche giorno prima dell’annuncio.

L’obiettivo di Dubai è di diventare una meta turistica mondiale di primordine. Già l’emirato è all’avanguardia sul piano dei costumi, tra l’altro non richiedendo un abbigliamento particolare ai residenti. Di recente, ha anche rimpiazzato il fine settimana islamico (venerdì-sabato) con quello adottato dall’Occidente (sabato-domenica). E rilascia visti per i lavoratori in smart working, al fine di attirare talenti stranieri dopo la pandemia. Rispetto a molti stati del Golfo Persico, è così liberale da consentire la convivenza prima del matrimonio.

Sua Altezza Mohammed bin Rashid al Maktoum ha altresì annunciato che punta a fare di Dubai una delle tre città al mondo entro dieci anni per sviluppo economico. A tale fine, si è posto l’obiettivo di attirare 650 miliardi di dirham (167 miliardi di euro) di maggiori investimenti esteri diretti nel prossimo decennio. Gli scambi commerciali dovranno passare da 14.200 a 25.600 miliardi di dirham (6.565 miliardi di euro) nel prossimo decennio.

Arabia Saudita insegue Dubai

Più che di svolta, possiamo parlare di accelerazione di piani già in atto da anni.

E ciò sarebbe legato al rischio per Dubai di vedersi scavalcata dall’Arabia Saudita, dove il principe Mohammed bin Salman da tempo sta introducendo riforme per svecchiare l’immagine del regno e renderla appetibile al resto del mondo non islamico. La Vision 2030 sta dando i suoi frutti, seppure le riforme non appaiano così eclatanti come a Dubai. L’occupazione femminile è raddoppiata in un triennio, mentre le donne ora possono guidare e andare anche allo stadio. Sono anche stati riaperti i cinema dopo decenni di divieto.

Il principe saudita, tuttavia, è consapevole che gli occidentali (e non solo) difficilmente andrebbero a vivere nel regno per via dei costumi eccessivamente conservatori. Per questo ha stanziato 500 miliardi di dollari per la costruzione di Neom, una città lineare all’avanguardia e totalmente alimentata dalle energie rinnovabili. Qui, le leggi saudite non sarebbero applicate e ci sarebbe massima libertà economica, oltre dei costumi. Una minaccia per Dubai, che della sua attrattiva per gli occidentali ne ha fatto un business nei decenni passati.

Mosse che danno il senso di una programmazione di lungo periodo. Queste monarchie del Golfo Persico sono consapevoli che devono la loro ricchezza agli idrocarburi, ma che tra qualche decennio il resto del mondo potrebbe sganciarsi dalla dipendenza verso il petrolio. Per questo si sta scatenando una “guerra” per attirare capitali esteri con cui diversificare le rispettive economie. Dubai parte avvantaggiata e l’Arabia Saudita insegue. Il Qatar ha cercato di sfruttare i mondiali per rilanciare la propria immagine, ma c’è forse riuscita molto parzialmente tra divieti assurdi e lo scandalo Qatargate all’Europarlamento.

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