Si moltiplicano i segnali di sofferenza per l’economia italiana. Il 2022 avrebbe dovuto essere l’anno della piena ripresa, del ritorno del PIL ai livelli pre-Covid. Rischia di decretare la debacle del Bel Paese, stretto tra inflazione sempre più alta, rallentamento della crescita, rendimenti dei titoli di stato galoppanti e tensioni politiche interne perenni. Il premier Mario Draghi ha fiutato da settimane il rischio di ritrovarsi a gestire una situazione che gestibile non sarebbe. Non ci tiene ad essere ricordato come il premier che stava a Palazzo Chigi quando scoppiò una nuova crisi del debito italiano.

Per questo, i partiti della maggioranza appaiono consapevoli che la fine della legislatura sarebbe vicina. Draghi presenterebbe la legge di Stabilità già a luglio per portare l’Italia ad elezioni anticipate in ottobre.

Draghi pensa ad elezioni anticipate

Del resto, ad essere obiettivi sei mesi più o sei mesi in meno non cambierebbero nulla dal punto di vista politico. Anche perché questi non sono stati mesi fruttuosi per il governo, la cui attività praticamente è andata paralizzandosi dopo l’approvazione della scorsa legge di Stabilità e la rielezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica.

I partiti sono già in campagna elettorale e non si tengono assieme. Tra PD e Movimento 5 Stelle c’è gelo, mentre tra Lega e Forza Italia è stata trovata una sorta di intesa in funzione anti-Meloni. Sta di fatto che si sono ricreate le condizioni perfette per una crisi del debito come quella del 2011: paralisi politica, assenza di riforme, stretta monetaria, tensioni internazionali, rallentamento della crescita. Stavolta, poi, ci si mette anche il caro bollette ad aggravare il quadro. Fa perdere potere d’acquisto alle famiglie, per cui riduce i consumi e obbliga il governo ad intervenire con misure in deficit che peggiorano i conti pubblici già devastati da un decennio di crisi prima, una pandemia dopo e una guerra adesso.

Verso la stretta sui tassi BCE

Se finora la BCE temporeggia sul rialzo dei tassi è solo per la paura di rivivere la crisi del debito del Sud Europa. Ma rinviarlo è diventato impossibile, politicamente e sul piano economico stesso. Ed ecco che a Roma è scattato l’allarme. A questi rendimenti, il costo di emissione dei titoli di stato non consentirà più al Tesoro di tagliare la spesa per interessi.

Pensare a una stretta fiscale risulta impossibile per due ragioni: causerebbe una nuova recessione dell’economia italiana o peggiorerebbe quella verosimilmente già in corso; i partiti non la sposerebbero, dovendo fare i conti tra al massimo un anno con gli elettori.

Rubinetti BCE chiusi e Pnrr depotenziato: rischio crisi del debito

Se fino a pochi mesi fa si spargeva ottimismo sul Pnrr, come fosse la panacea dei nostri mali, adesso è il governo stesso a mostrarsi realista. Ammesso che il piano europeo fosse così cruciale per sostenere la crescita dell’Italia nei prossimi anni, i rincari delle materie prime ne hanno affievolito la portata. A parità di risorse investite, infatti, gli investimenti realizzabili saranno inferiori. E i benefici sul PIL saranno meno visibili.

Ricordiamo che nel 2020 la crisi del debito italiano fu sventata sul nascere da due misure entrambe europee: il PEPP della BCE e il Pnrr della Commissione. Il primo non c’è più, anzi stanno per cessare anche gli stimoli monetari ordinari. E la portata del secondo si è sgonfiata e non esiste accordo intergovernativo per potenziarlo e/o affiancargli un piano comune per reagire agli effetti della guerra.

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