Domani si terrà ad Atlanta il settimo e penultimo board della Federal Reserve, la banca centrale americana. I componenti del FOMC dovranno comunicare le loro decisioni di politica monetaria. Nel prenderle, dovranno tenere conto di un’inflazione negli USA ancora sopra l’8% a settembre (il dato di ottobre non è stato ancora reso noto). E la congiuntura economica resta per il momento favorevole, con il mercato del lavoro in piena occupazione. Investitori e analisti scontano un rialzo dei tassi FED dello 0,75% al nuovo range del 3,75-4%.

Questo livello non si vede dal 2008, cioè dal crac di Lehman Brothers.

Dollaro resta super

E cosa ancora più importante, non sarà questo l’apice che verrà toccato. Sempre stando alle previsioni del mercato, i tassi FED saliranno fino a un massimo del 5-5,25% entro marzo. Per Goldman Sachs arriveranno esattamente al 5%. Tenuto conto che il massimo atteso per i tassi BCE sia del 3% al settembre dell’anno prossimo, la divergenza monetaria tra USA ed Eurozona resterebbe sostanzialmente inalterata nel medio termine. E ciò spiega perché il cambio euro-dollaro non vuole sentirne di risalire sopra la parità, se non episodicamente.

Per la fine dell’anno prossimo, i tassi FED sono attesi solo leggermente in calo dai massimi al 4,75%. Ciò implica che vi saranno stati per allora due tagli dei tassi d’interesse dello 0,25% ciascuno. Un fenomeno che si spiegherebbe con il raggiungimento dell’obiettivo della riduzione dell’inflazione. Una spiegazione non necessariamente alternativa consiste nello scontare la recessione per l’economia americana. In altri termini, alzando il costo del denaro la FED finirebbe per mandare in crisi gli Stati Uniti.

Quest’anno, il dollaro guadagna il 14% contro le principali valute mondiali. Un boom che sta mitigando l’inflazione, riducendo il costo dei beni importati dall’estero. Ma la cura rischia di provocare effetti collaterali pericolosi.

A rischio vi è particolarmente lo stato di salute del mercato immobiliare americano, il quale fu l’epicentro della disastrosa crisi finanziaria mondiale nel 2008.

Effetti del rialzo tassi FED

I tassi sui mutui a 30 anni sono saliti mediamente al 7,20% dal 3,15% di un anno prima. L’esplosione delle rate mensili non solo divora i bilanci delle famiglie, il cui reddito non sta tenendo il passo con l’inflazione; essa minaccia la tenuta delle compravendite di abitazioni, il cui volume a settembre è sceso ai minimi da inizio pandemia. Fatta eccezione per aprile 2020, quando il crollo fu dovuto al lockdown, dovremmo risalire al luglio del 2010 per trovare un valore ancora più basso.

C’è poi un altro problema che disturba i sonni del governatore Jerome Powell. La liquidità sui mercato sovrano americano è precipitata. Riuscire a vendere T-bond è diventato sempre più difficile, perché sono scomparsi gli acquirenti. Questo significa che il mercato si aspetterebbe un calo dei prezzi (aumento dei rendimenti) ulteriore per i titoli di stato. E queste aspettative rischiano di fare impennare i tassi su prestiti e mutui al punto tale da “congelare” l’intero mercato del credito e di provocare una grave recessione economica.

Infine, per non parlare del fatto che il super dollaro sta facendo saltare i conti di numerose economie emergenti e non solo. Con euro, yen, sterlina e yuan ai minimi da decenni, le altre principali banche centrali sono costrette a inseguire la FED per difendere i rispettivi tassi di cambio. Questa corsa al rialzo dei tassi, peraltro necessaria per frenare l’inflazione, non fa che aumentare le probabilità di una “gelata” dell’economia mondiale.

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