E’ tornato “super” dopo un declino durato quasi due mesi. Da settimane, il dollaro segna un complessivo rafforzamento contro le principali valute mondiali, portandosi ai livelli più alti da oltre due mesi a questa parte. Guadagna in media il 4% rispetto ai minimi toccati in aprile, quando il mercato scontava sostanzialmente la fine della stretta monetaria da parte della Federal Reserve. Invece, ci sarebbe ormai chiaramente lo spazio per un altro rialzo dei tassi FED. Lo suggeriscono i dati macroeconomici degli Stati Uniti.

E così, il cambio euro-dollaro scende a 1,07 dopo essere salito sopra 1,10 all’inizio di marzo per la seconda volta in tre mesi.

Economia americana non si ferma

Per capire meglio, iniziamo con il dato sul PIL. Nel primo trimestre, la seconda lettura ha alzato le stime rispetto a quella preliminare: crescita dell’1,3% su base annua contro il +1,1% pubblicato in precedenza, pur giù dal +2,6% del quarto trimestre. I consumi delle famiglie hanno apportato un contributo del 2,52%, rivisto al rialzo dal 2,48%. Meglio delle precedenti stime anche gli investimenti fissi lordi a -0,03% da -0,07%. Esportazioni nette a +0,01% da +0,11%, scorte delle imprese a +0,58% da +0,54% e, infine, spesa pubblica a +0,89% da +0,81%.

Nel frattempo, il deflatore del PIL (inflazione al netto della componente legata alle importazioni) è salito al 4,2%, sopra il 4% atteso e in crescita dal 3,7% del quarto trimestre. Il Core PCE, il dato sull’inflazione al netto delle componenti volatili, è salito anch’esso al 5% su base trimestrale dal 4,9% stimato e sopra il 4,4% del quarto trimestre. Infine, i nuovi sussidi di disoccupazione richiesti negli Stati Uniti per la prima volta sono aumentati su base settimanale di 4.000 unità a 229.000, meno dei 245.000 attesi dal mercato.

Qual è il senso di tutti questi numeri? L’economia americana sta andando meglio delle attese, continua a crescere, trainata dalla domanda interna aggregata. Le stesse esportazioni non arretrano. Viceversa, l’inflazione resta superiore ai livelli attesi, sebbene i dati riguardino i primi mesi dell’anno.

Nel complesso, il governatore Jerome Powell avrebbe margini per riprendere il rialzo dei tassi FED dopo la pausa annunciata per giugno. La crescita dei prezzi al consumo rallenterebbe più velocemente “distruggendo” in parte i consumi. E il dollaro si rafforza sulla scorta di tale previsione. Stando ai futures di CME Group, a luglio il costo del denaro salirà di un altro quarto di punto percentuale al 5,50%. Entro fine anno, però, sono attesi due tagli dei tassi da un quarto di punto ciascuno al 5%. Fino a qualche settimana fa, comunque, s’intravedeva una discesa entro dicembre al 4,75%.

Super dollaro spinge a rialzo tassi BCE

Questo spiega perché anche alla Banca Centrale Europea (BCE) i toni siano improvvisamente cambiati in pochi giorni. Un “falco” come il governatore tedesco Joachim Nagel aveva persino prospettato la fine della stretta monetaria entro l’estate, salvo rimangiarsi in pubblico le sue stesse parole a breve distanza di tempo. Il dollaro è tornato a salire anche contro l’euro. Ciò complica i piani di Francoforte per combattere l’inflazione, risalita ad aprile al 7% nell’Area Euro. Secondo il mercato, i tassi BCE lieviteranno di almeno un altro mezzo punto percentuale. Dovrebbe esserci un aumento a giugno e uno a luglio di un quarto di punto ciascuno. Non si esclude più che lo stesso accada a settembre. Dopodiché, lo stop alla stretta sarebbe molto probabile.

Può sembrare incredibile che il dollaro si rafforzi proprio nelle settimane in cui le tensioni finanziarie si addensano tutte attorno alla querelle sul tetto al debito americano. Gli Stati Uniti rischiano il default tecnico. Ciononostante i capitali affluiscono a favore del mercato a stelle e strisce. I rendimenti dei T-bond sono diventati molto più appetibili, specie sul tratto breve della curva.

I rendimenti biennali sono esplosi di 70 punti base o 0,70% in tre settimane, i decennali dello 0,25% in un paio di settimane. Nel frattempo il Bund a 2 anni offre +0,35%, per cui le distanze con l’omologo americano si sono ampliate. E quando ciò accade, è un segnale “bullish” per il dollaro.

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