Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, rispettivamente ex presidente ed ex direttore generale di Monte Paschi di Siena, sono stati assolti definitivamente dalla Cassazione dalle accuse di avere manipolato i bilanci bancari per coprire le perdite. Vi ricordate le diavolerie finanziarie studiate in quegli anni? Presero nomi accattivanti come Alexandria, Santorini e Fresh. Il sospetto è che fossero serviti per nascondere al pubblico le perdite legate all’acquisizione di Banca Antonveneta. Oggi, a dieci anni di distanza, i giudici ci dicono che le cose non stavano affatto così.

Insomma, abbiamo scherzato. Ottima notizia per gli indagati, usciti da un calvario lungo un decennio. Al resto degli italiani non rimane che porsi una domanda: ma allora la banca senese perché è andata a gambe per aria? Solo malasorte dopo il crac di Lehman Brothers o la cattiva gestione ipotizzata con tanto di reati è stata pura immaginazione collettiva?

I fatti certi sono che nel novembre del 2007 Monte Paschi stringe un accordo con Banco Santander per acquisire Banca Antonveneta al costo di 9 miliardi. La cifra è altissima, dato che solamente qualche mese prima gli spagnoli avevano speso 6,6 miliardi per rilevarla dall’olandese Abn Amro. Per quale motivo un istituto ne compra un altro per svariati miliardi, salvo liberarsene poche settimane più tardi? E per quale motivo riesce a trovare un acquirente molto generoso, che gli frutta una plusvalenza di 2,3 miliardi in modo così facile? Forse rimarranno misteri per sempre.

Salvataggio statale da 7 miliardi

Tra le altre poche certezze vi è che i contribuenti italiani si sono svenati. Nel 2017, il Tesoro rilevò Monte Paschi per 3,9 miliardi di euro, a cui si sono aggiunti 1,5 miliardi per rilevare le obbligazioni subordinate in mano ai piccoli investitori. In tutto, 5,4 miliardi. L’anno scorso, al fine di partecipare pro-quota all’ennesima ricapitalizzazione in pochi anni, dovette spendere altri 1,6 miliardi. Il salvataggio è arrivato così alla cifra di 7 miliardi.

A questa vanno aggiunte le potenziali perdite di Amco, società controllata dal Tesoro e che ha rilevato da Monte Paschi un maxi-pacchetto di crediti deteriorati a prezzi verosimilmente superiori a quelli di mercato.

Se tutto andasse bene, oggi come oggi il Tesoro riuscirebbe a vendere la propria quota del 64,23% per un paio di miliardi. E sperando che le quotazioni di borsa reggano e che gli acquirenti non pretendano uno sconto. Infatti, tutta Monte Paschi sul mercato vale intorno ai 3,3 miliardi. Dunque, lo stato incasserebbe liquidità per 2 miliardi, ma dovrebbe iscrivere a bilancio una perdita di circa 5 miliardi. Questo è il “buco” che già possiamo calcolare per quando la privatizzazione sarà conclusa.

Monte Paschi senza colpevoli, più bassi rischi legali

Ora, noi non stiamo dicendo che i tribunali avrebbero dovuto consegnarci per forza lo scalpo di qualche malcapitato. Anzi, meglio un colpevole fuori che un innocente dietro le sbarre. Quello che non ci spieghiamo è perché cincischiamo da anni di bilanci truccati e alla fine nessuno è stato considerato colpevole. O i bilanci si sono falsificati da soli, anticipando l’Intelligenza Artificiale, o sono sempre stati veritieri. Ma a pensar male si fa peccato, anche se a volte ci si azzecca. Per spirito andreottiano siamo portati a pensare che forse al sistema Italia è convenuta l’assoluzione. In primis, perché mandare in galera due vecchi dirigenti ormai fuori dai giochi non giova a nessuno, mentre la loro innocenza può essere sbandierata sui mercati per dire che i rischi legali siano inferiori a quelli temuti.

Se il 27 ottobre in appello saranno assolti anche Fabrizio Viola e Alessandro Profumo, il titolo Monte Paschi continuerà a salire e lo stato potrà iniziare ad uscire dal capitale più agevolmente. Magari il ministro Giancarlo Giorgetti troverà più facile convincere Banco BPM e, soprattutto, Bper sulla necessità di rilevare una banca per pochi spiccioli, ripulita dai crediti a rischio e senza grossi rischi legali pendenti per il suo oscuro passato.

A Roma serve fare cassa, a Bruxelles avere un incipit di privatizzazione in corso e ai mercati l’idea che alla fine tutto si sia risolto a tarallucci e vino.

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