Sempre più giù lo yen contro il dollaro statunitense. Ieri, il tasso di cambio si attestava sopra 144, segnalando un indebolimento di circa l’11% da inizio anno e ai minimi da otto mesi. Bisogna tornare alla fine di ottobre, infatti, per assistere a un cambio così basso. E dire che agli inizi di gennaio c’era stata una discesa sotto 130 sull’attesa svolta monetaria alla Banca del Giappone. Svolta che non c’è stata. Haruhiko Kuroda ha lasciato la guida dell’istituto al successore Kazuo Ueda dopo dieci anni.

Solo che questi non ha alcuna intenzione di uscire fuori dal tracciato degli ultimi anni. I tassi d’interesse restano fissati al -0,10% e il controllo della curva dei rendimenti prosegue.

Rendimenti Giappone restano glaciali

L’inflazione in Giappone era al 3,2% a maggio, stessa percentuale per il dato “core”. Non c’è allarme nel Sol Levante per abbandonare la politica monetaria ultra-espansiva, anche perché globalmente l’inflazione sta scendendo. Il problema è per l’appunto lo yen. Ora che le principali banche centrali stanno tornando a fare la voce grossa sulla lotta all’inflazione e prospettano ulteriori aumenti dei tassi, la valuta nipponica perde forza.

La debolezza dello yen è una buona notizia per l’Europa. Essa riflette una politica sui tassi in Giappone ferma all’era pre-Covid. Di conseguenza i rendimenti sovrani lungo la curva delle scadenze stanno rimanendo bassissimi. Pensate che ieri il bond a 10 anni offriva meno dello 0,38%. A questi livelli gli investitori nipponici stessi trovano poco conveniente acquistare asset domestici. Più allettante il mercato obbligazionario di Nord America ed Europa. Il Bund a 10 anni offre sopra il 2,30%. Proprio i deflussi dei capitali stanno indebolendo lo yen.

In altre parole, lo yen debole testimonia investimenti dal Giappone verso l’Occidente. I nostri bond possono beneficiare così della domanda in arrivo da Tokyo. Ma tutto ciò può trasformarsi presto in qualcosa di negativo proprio per il nostro obbligazionario.

Allarmato dall’indebolimento continuo del cambio, ieri il ministro delle Finanze, Shunichi Suzuki, ha prospettato un intervento sul mercato forex per evitare movimenti “eccessivi”. Più che a un cambio-limite, pare che il governo guardi alla velocità con cui lo yen perde quota contro le altre principali divise internazionali. E anche al fatto che tali movimenti risulterebbero da tempo unidirezionali.

Yen legato a tassi e bond

A settembre, la Banca del Giappone intervenne sul mercato forex per la prima volta dal 1998. Lo fece per rianimare lo yen, collassato ai minimi proprio dal ’98 e fin sopra quota 150 contro il dollaro. La soglia che farebbe scattare l’allarme, stando agli analisti, sarebbe di 145. Cosa accadrebbe a quel punto? A settembre e ottobre l’istituto decise di vendere dollari contro yen. Ciò rafforzò il cambio. E a dicembre l’ex governatore raddoppiò il rendimento massimo tollerato per il bond a 10 anni da 0,25% a 0,50%.

Se anche stavolta Ueda aumentasse il limite tollerato per i rendimenti dei bond, sarebbe una cattiva notizia per l’obbligazionario europeo. I titoli di stato del Giappone incrementerebbero il loro appeal, i capitali riaffluirebbero nel Sol Levante e lo yen si rafforzerebbe. La domanda per Bund, BTp, Oat, ecc., si ridurrebbe. E sarebbe anche peggio se il mercato scrutasse nell’eventuale gesto la volontà futura di eliminare del tutto il controllo della curva dei rendimenti e/o di abbandonare l’estremo allentamento monetario dell’ultimo decennio.

Per il momento non esistono indizi che possa accadere qualcosa di simile. Anzi, Ueda starebbe stringendo i denti nella consapevolezza che, al più tardi, entro settembre la stretta monetaria cesserà presso le principali banche centrali. A causa di una possibile recessione, non è escluso che la Federal Reserve inizi a tagliare i tassi già entro quest’anno.

A quel punto, i tassi negativi del Giappone verrebbero percepiti come meno anomali e lo yen risalirebbe la china. Gli stessi rendimenti sovrani non avrebbero bisogno di crescere per attirare capitali.

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