Spread sopra 190 punti base, decennale italiano al 4,70% e una montagna di debito pubblico da emettere entro i prossimi dodici mesi per oltre 500 miliardi di euro. Numeri da far tremare i polsi a chiunque, anche perché nel frattempo la Banca Centrale Europea (BCE) ha chiuso i rubinetti della liquidità aperti sin dal marzo del 2015. Al contrario, ha alzato già i tassi di interesse per dieci volte in poco più di un anno per combattere l’inflazione che affligge da tempo l’Eurozona.

Il costo del denaro era azzerato fino al luglio dello scorso anno, mentre oggi risulta salito al 4,50%.

La BCE non acquista più titoli del debito pubblico degli stati membri. Li lascia scadere senza rinnovarli. Sarà il mercato a dover assorbire la mole di bond da rinnovare e di nuova emissione. Chiaramente, i rendimenti non fanno che salire. Il famoso Quantitative Easing (QE) è stato chiuso, insomma. Fino alla fine del 2024, tuttavia, Francoforte si è impegnata a rinnovare tutti i titoli di stato e corporate in scadenza. Perlomeno, da quel programma non arrivano ulteriori incombenze a carico dei governi.

Su QE Italia a credito

Alla fine di agosto, i titoli del debito pubblico italiano in pancia alla BCE con il QE ammontavano a quasi 428 miliardi su un totale di oltre 2.653 miliardi. In un solo mese, la BCE ha venduto BTp per più di 8 miliardi, circa la metà dell’intera riduzione dello stock. A conti fatti, attualmente la loro quota incide per il 16,1% contro il 16,85% spettante sulla base del “capital key”. Questo significa che, in teoria, la BCE disporrebbe di margini per aumentare all’occorrenza gli acquisti di BTp senza infrangere neppure formalmente le sue stesse regole. Di quanto? Fino a una ventina di miliardi di euro. Fatto salvo, comunque, che potrebbe sempre superare la quota per un periodo di tempo, come già fatto ripetutamente in passato.

In altre parole, la BCE ha iper-venduto titoli del debito pubblico italiano e nei prossimi mesi avrebbe modo di fare il contrario per sostenerli da eventuali attacchi speculativi sui mercati finanziari. C’è da dire, comunque, che i numeri mutano con il PEPP, il piano varato nel marzo 2020 per reagire alla pandemia. In quel caso, i BTp in pancia valevano a fine luglio quasi 294 miliardi, il 17,7% dei bond sovrani complessivi. In teoria, siamo 14 miliardi sopra. Ma va detto che con il PEPP non esiste una rigida attinenza alla regola del “capital key”, ragione per cui varrebbe il discorso di sopra.

Debito pubblico, margini limitati e preziosi da BCE

Certo, se c’è qualcuno che avrebbe di cosa lamentarsi, è la Germania. Con il QE i Bund valgono solo il 23,85% del totale e con il PEPP il 23,95% contro il 26,15% teoricamente spettante. La BCE dovrebbe acquistare fino a circa 100 miliardi di titoli del debito pubblico tedesco per rispettare le percentuali assegnate. Se lo facesse, però, gli spread esploderebbero ulteriormente, in quanto i rendimenti tedeschi scenderebbero più che proporzionalmente rispetto a quelli italiani, spagnoli, ecc.

In conclusione, la BCE ha venduto più BTp di quanto avrebbe dovuto nei mesi scorsi, forse approfittando della loro relativa stabilità sui mercati e con l’intento di poterli sostenere in futuro senza violare alcuna regola formale. Una ventina di miliardi non sarebbe granché, ma pur sempre oro in una fase complicata come questa per il nostro debito pubblico.

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