La Banca Centrale Europea (BCE) ha ripreso gli acquisti dei titoli di stato italiani. Emerge dall’aggiornamento dei dati relativi al PEPP, il piano varato ad inizio pandemia per reagire alle conseguenze di quest’ultima sui mercati finanziari. Il programma è rimasto attivo dal marzo 2020 al marzo 2022. Dopodiché, esso si limita a reinvestire i bond in scadenza. Nel bimestre dicembre-gennaio, gli acquisti netti di BTp sono stati pari a 631 milioni di euro. I dati di ottobre-novembre erano risultati negativi per 794 milioni.

Acquisti netti anche per i Bund della Germania a +593 milioni, i quali seguono i +2,55 miliardi del periodo ottobre-novembre. Altri 2,1 miliardi di acquisti hanno riguardato gli Oat francesi, seguiti a variazioni quasi nulle nel bimestre passato.

Il ritorno agli acquisti con il PEPP non ha riguardato, tuttavia, il Sud Europa nella sua interezza, né tutte le principali economie dell’Eurozona. Ad esempio, tra dicembre e gennaio la BCE ha venduto altri 1,4 miliardi di euro di Bonos spagnoli dopo i -1,42 miliardi del bimestre precedente. E -516 milioni di bond del Portogallo hanno fatto seguito a -1,1 miliardi. Viceversa, i -1,17 miliardi relativi ai titoli di stato olandesi seguono acquisti netti per 1,7 miliardi.

Qual è la ratio di questi numeri? La BCE continua a comprare e vendere al contempo bond sotto il PEPP, mantenendo sostanzialmente invariate le dimensioni nette del programma. Di mese in mese, solo piccoli aggiustamenti al portafoglio sulla base sia dell’opportunità che della necessità. La prima può avere a che fare con il sostegno a favore di qualche mercato sovrano in condizioni di relativo stress, data la fase rialzista dei tassi. La seconda riguarda essenzialmente la volontà dell’istituto di calibrare gli acquisti legandoli il più possibile alla quota spettante a ciascun mercato sovrano.

Dati PEPP premiano Bund

Il PEPP non fissa paletti precisi come il “quantitative easing” con riferimento alle quote assegnate a ciascun paese (“capital key”).

Tuttavia, più tali quote sono rispettate e maggiori i margini d’intervento in futuro a favore dei bond eventualmente bisognosi di soccorso. I titoli di stato italiani a dicembre hanno registrato un tonfo, similmente al resto dell’Area Euro. Ma l’allargamento degli spread ha segnalato anche l’aumento del rischio sovrano percepito dopo il board BCE giudicato “hawkish”. Per gran parte di gennaio, invece, hanno prevalso gli acquisti e gli spread si sono ristretti. Non sappiamo in quale segmento temporale si siano concentrati gli acquisti netti di Francoforte. Essendo stati di importo scarno, improbabile che abbiano impattato sulla discesa dei rendimenti.

Da notare, invece, che i Bund hanno ricevuto in quattro mesi acquisti netti per 3,15 miliardi di euro. Ciononostante, i rendimenti tedeschi sono lievitati ai massimi da undici anni. Chissà che la BCE non abbia voluto tenere i rendimenti tedeschi più bassi possibili, al fine di segnalare al mercato costi “benchmark” di emissione del debito sotto controllo. Un modo indiretto per comprimere gli stessi spread, ma agendo più che altro sul titolo di riferimento.

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