Ieri, vi abbiamo mostrato le cifre sulla spesa per interessi sul debito pubblico italiano, decrescente da anni e che lo stesso Tesoro stima che si ridurrà in valore assoluto anche quest’anno. Nel 2018, abbiamo pagato 64,9 miliardi, circa 600 milioni in meno del 2017. Oggi, vi vogliamo fornire altre cifre interessanti, perché potrebbero indicare una tendenza destinata a consolidarsi negli anni futuri, a tutto beneficio dei conti pubblici. Come sapete, dal marzo 2015 e fino al dicembre scorso, la BCE ha acquistato vari assets nell’Eurozona con il cosiddetto “quantitative easing”, tra cui principalmente titoli di stato.

Quelli italiani in pancia all’Eurosistema delle banche centrali ammontano a circa 400 miliardi di euro, di cui per l’80% si trovano nei bilanci della Banca d’Italia, il resto della BCE.

Il debito pubblico ci costa meno: la spesa per interessi continua a scendere, nonostante lo spread

Questi titoli fruttano interessi, visto che le banche centrali dell’area si comportano esattamente come se fossero investitori privati. Tuttavia, questi interessi corrisposti dagli stati tornano loro indietro per un semplice motivo: le banche centrali sono enti pubblici, per quanto godano di autonomia operativa e decisionale. E, infatti, quest’anno il Tesoro di Roma riceverà un maxi-dividendo da parte di Palazzo Koch, pari a ben 5,7 miliardi di euro. Si tratta del compenso a cui ha diritto, detratti gli accantonamenti a riserva e i dividendi distribuiti ai soci privati, essenzialmente banche e assicurazioni italiane. In effetti, Bankitalia ha chiuso il 2018 con un utile lordo monstre di 7,4 miliardi, che al netto degli 1,2 miliardi di imposte versati allo stato, fanno sempre la cifra ragguardevole di 6,2 miliardi. Per la gran parte – 3,9 miliardi – sono stati generati proprio dagli interessi sui circa 320 miliardi di bond detenuti. In definitiva, lo stato ha incassato 6,9 su 7,4 miliardi, oltre il 93%.

Interessi “zero” sui bond acquistati con il QE

E qua viene il bello.

Il QE non solo da sollievo ai conti pubblici per la maggiore domanda di titoli di stato che alimenta sui mercati, abbassandone i rendimenti e consentendo agli stati dell’area di rifinanziarsi a costi inferiori, ma oltre tutto sottrae una massa di bond agli investitori privati, facendola finire nei bilanci delle banche centrali e della stessa BCE, i quali vengono gonfiati dagli interessi maturati sui titoli stessi. Questi verranno successivamente girati agli stati, che nei fatti sui bond acquistati dagli istituti con il QE finiscono per non pagare più interessi. Insomma, diventa tutta una partita di giro.

Facciamo un esempio: Bankitalia acquista BTp per un controvalore di 1 miliardo di euro e con cedole medie annuali del 3%. A fine anno, contabilizza interessi per 30 milioni. Questi si trasformano in utile, sui quali verserà le imposte allo stato italiano e quel che rimane verrà per la quasi totalità trasferito sui conti del Tesoro a titolo di compenso, essendo Palazzo Koch un ente di diritto pubblico. Di fatto, sarebbe come dire che l’Italia non stia pagando quasi affatto gli interessi su una massa pari a poco meno di un sesto di tutti i suoi bond emessi. Come sappiamo, gli acquisti netti con il QE sono cessati a dicembre, mentre continuano i reinvestimenti delle scadenze.

Debito pubblico, come allungare le scadenze con l’aiuto europeo senza pagare più interessi

Ora, nessuno più esclude tra analisti e investitori a priori che queste operazioni, nate sull’emergenza della deflazione strisciante nell’area, così come in Giappone parecchi anni prima e negli USA dal 2008, possano diventare “strutturali”. Se così fosse, una quota crescente di bond finirebbe in mano alle banche centrali e diverrebbe di fatto infruttifera, “interest free”. Ed è quello che sta avvenendo a Tokyo, che malgrado un rapporto debito/pil superiore al 250%, grazie al fatto che il 40% dei bond emessi lo possiede la Banca del Giappone, tiene a bada, tutto sommato, la spesa per interessi, la quale sarebbe altrimenti molto più elevata.

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