Il governo giallo-verde è nato e si accinge a incassare la fiducia del Parlamento, iniziando dal Senato. Il suo parto è stato travagliato, arrivato solo al termine di convulsioni politico-istituzionali e finanziarie ignote nel resto del mondo avanzato. La crisi dello spread, esplosa a livelli allarmanti appena una settimana fa, non è rientrata, ma almeno si è ridimensionata. Resta il fatto che i rendimenti decennali dei nostri BTp si aggirano al 2,6-7%, quando quelli spagnoli sulla medesima scadenza viaggiano intorno alla metà. E dire che nel frattempo, tanto per non farci mancare nulla, persino a Madrid si è consumata una crisi politica, con l’ex premier conservatore Mariano Rajoy sfiduciato dalla Cortes e succeduto all’istante dal socialista Pedro Sanchez.

Complotto contro l’Italia per sventare la nascita di un esecutivo sorretto da Movimento 5 Stelle e Lega, notoriamente formazioni euro-scettiche? No, i mercati finanziari ragionano per convenienza di chi vi investe. Se hanno venduto BTp come non vi fosse un domani è stato semplicemente perché hanno perso parte della fiducia verso l’Italia, ovvero sulla sua capacità di onorare puntualmente i debiti. Al netto delle considerazioni sulla riduzione degli acquisti da parte della BCE con il “quantitative easing”, pare dovuta a ragioni tecniche, il problema resta per noi lo stesso da anni: ad eccezione della sola Grecia, nessun altro stato appare così sotto scacco dei mercati in tutto l’Occidente, tanto da doverne seguire ed assecondare gli umori. Politica troppo debole? Sì, sebbene non sia questa la causa della nostra dipendenza dai finanzieri, quanto l’enorme mole del debito pubblico, che in valore assoluto ha superato ormai i 2.300 miliardi di euro e che in rapporto al pil ha chiuso il 2017 a quasi il 132%, una volta e mezza la media dell’Eurozona.

Sul debito pubblico non esistono soluzioni fantasiose alla Gabanelli

L’Italia si trova nelle condizioni di chi vive ogni giorno con terrore l’arrivo del postino, immaginando che possa essere la banca a inviargli una lettera di sollecito per il pagamento della rata del mutuo saltata.

La nostra dipendenza dai mercati è conseguenza del nostro sovra-indebitamento, che ci rende “schiavi” di chi ci presta i denari per vivere o avere vissuto sopra le nostre possibilità. Le soluzioni per abbattere il rapporto debito/pil si sprecano da anni, ma forse hanno raggiunto l’apice della fanta-finanza a maggio, quando è emerso che Lega e 5 Stelle avessero abbozzato la richiesta di condono dei 250 miliardi in mano alla BCE.

Pensioni facili alla base di molta ricchezza privata

L’odio degli italiani per questo opprimente fardello appare più che giustificato. Peccato che non si sia mai tradotto in un disgusto altrettanto forte contro i meccanismi che continuano ad alimentarlo. Uno di questi affonda le radici nel sistema pensionistico. Notizia di ieri che l’Inps calcoli in 400.000 gli assegni erogati oggi ad anziani in pensione da almeno 38 anni, ovvero da prima del 1980. Semplice longevità (per fortuna) dei beneficiari? No, perché scopriamo che il primo assegno ai titolari fu mediamente erogato a 54,5 anni per i dipendenti del settore privato andati in pensione di “vecchiaia” (sic!), compreso il trattamento di anzianità. Nel pubblico impiego è andata anche meglio, ovvero assegno erogato rispettivamente a 49 e 45,7 anni.

Non stiamo parlando di numeri ininfluenti per i conti pubblici, perché tempo fa Itinerari Previdenziali stimava che i disavanzi dei sistemi pensionistici avrebbero generato ben i due terzi del debito pubblico emesso dal 1980, senza nemmeno considerare gli interessi gravanti sull’ammanco fiscale annuale. La famosa ricchezza privata, che con orgoglio sventoliamo in faccia ai nostri interlocutori europei, tedeschi in primis, pari a circa 5,5 volte il nostro pil, è stata alimentata in buona parte proprio dalle politiche dissennate della spesa pubblica negli anni Settanta e, in particolare, Ottanta.

In quella ricchezza rientrano case, terreni, risparmi, tutti frutto non solo e non sempre di sacrifici personali e familiari, quanto anche della mano visibile dello stato, che elargendo pensioni a pioggia e in età tenera, ha consentito a milioni di italiani di costruire il loro benessere sulle spalle della generalità dei contribuenti. Legittimamente, intendiamoci.

Debito pubblico generato per due terzi dalle pensioni, futuro rubato ai giovani

Tuttavia, l’italiano medio soffre di vuoti di memoria e quando parla di debito pubblico tende inconsapevolmente o furbescamente a dipingerlo come conseguenza di sprechi del settore pubblico e di ladrocini dei politici, che in parte vi sono stati, ma che si sono tradotti essenzialmente in posti pubblici, pensioni, appalti strapagati e spesso mai portati a termine e assistenza indiscriminata, se non del tutto ingiustificata in molte situazioni. E allora, laviamoci collettivamente la coscienza puntando il dito contro le pensioni d’oro di politici e boiardi di stato, reclamando di uscire dal lavoro quando ci piaccia farlo e continuiamo a fingere che il debito pubblico non ci appartenga. Perché in Italia, si sa, tutto ciò che è pubblico è di nessuno.

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