L’Italia è affollata da vedove inconsolabili. Per fortuna non piangono alcun marito morto, se non sul piano politico. Da quando il governo Draghi è caduto sulle tensioni nella maggioranza, media e partiti (non tutti) parlano di “pagina vergognosa” per l’Italia. Che il premier uscente e dimissionario sia una figura di prestigio, autorevole, rispettata e rispettabile nel mondo, non esiste il minimo dubbio. Che sia stato l’uomo giusto nel momento giusto alla guida della BCE, specialmente per noi italiani non è certamente in questione.

Che sia competente e abbia una visione delle cose, anche questo non lo può e deve negare nessuno. Ma un governo lo si giudica dai risultati, non dalla fama di chi lo dirige. Cerchiamo di capire attraverso i numeri quali siano questi numeri che ci lascia in eredità, facendo presente che non tutti possono sempre essere addebitati al premier di turno. Il governo non gestisce un’economia in un sistema di libero mercato, bensì la indirizza.

Conti pubblici sotto Draghi

Partiamo dai conti pubblici. Nel febbraio 2021, Mario Draghi entrò a Palazzo Chigi ritrovandosi un debito pubblico di 2.644 miliardi. A maggio di quest’anno (ultimo dato disponibile), lo ha lasciato a 2.756 miliardi. Un aumento di oltre 110 miliardi, pari a circa 6 punti di PIL. In un certo senso, inevitabile per via della necessità di fronteggiare pandemia prima e guerra dopo. Ma non è lesa maestà scrivere che neppure il governo Draghi sia stato scevro da atti di spesa improduttiva. Se siamo arrivati al bonus psicologo o al bonus terme, qualche domanda dovremmo porcela. Nel frattempo, il deficit fiscale è sceso dal 9,6% del 2020 al 7,2% del 2021. Per quest’anno, dovrebbe essere centrato l’obiettivo del governo del 5,6%.

E il sempiterno spread? Prima di Draghi, quando c’era Giuseppe Conte alla guida del governo e neppure ci s’immaginava che di lì a poco sarebbe stato disarcionato a favore dell’ex banchiere centrale, si aggirava fino a un massimo di 120 punti.

Nei giorni in cui Draghi accettava l’incarico di formare il governo, era arrivato a scendere sotto 90 punti. A giugno, prima delle tensioni politiche, era esploso fin sopra 250 punti. Colpa del premier? Certo che no, bensì dalle mutate condizioni monetarie. Ma Spagna e Portogallo hanno nel frattempo beneficiato di spread molto più contenuti. Ad un certo punto, persino la Grecia. In un certo senso, l’effetto Draghi non si è rivelato così eclatante come speravamo.

Inflazione, PIL e vaccini

Grosso problema di questi mesi, l’inflazione. Draghi la trovò allo 0,6% annua e la lascia all’8% nel mese di giugno. Sotto il suo governo, cioè in meno di un anno e mezzo, i prezzi al consumo sono aumentati mediamente dell’8,6%. Positivi i dati sull’occupazione, invece, passata dal 56,5% al 59,8%. In calo il tasso di disoccupazione dal 10,2% all’8,5%. In valori assoluti, il numero degli occupati è cresciuto di circa 770.000 unità a poco meno di 23 milioni. Del resto, dopo la pandemia l’economia italiana era rimbalzata: +6,6% il PIL nel 2021, dopo un pesante -9% nel 2020. Tuttavia, qua serve raffrontare il dato con gli altri paesi per capire se siamo cresciuti relativamente meno o più.

Alla fine del 2021, la Germania aveva un PIL a -1,8% sul 2019, la Francia a -1,5%. E l’Italia? A -3%. Il rimbalzo, in sostanza, è stato inferiore a quanto avvenuto nei due principali paesi dell’Eurozona, tenuto conto del tracollo economico accusato nell’anno precedente. Infine, la campagna vaccinale, fiore all’occhiello del premier uscente. Risulta essere coperto da vaccinazione con ciclo competo l’80,5% della popolazione residente, più del 76,1% della Germania e del 78,6% della Francia, ma meno dell’86,7% della Spagna e dell’86,3% del Portogallo. Abbiamo fatto bene, ma nulla di eccezionale nel panorama internazionale, dove in genere il Sud Europa è andato meglio del Nord Europa, forse anche a seguito di misure di maggiore coazione contro la pandemia.

Flop in Europa

In realtà, c’è un dato dolente di questo anno e mezzo scarso di governo Draghi, che non emerge dai numeri di cui sopra. Durante il Conte-bis, l’Italia ottenne 209 miliardi di euro di fondi europei tra prestiti e sussidi con il Recovery Fund, nonché il varo del PEPP della BCE fino a 1.850 miliardi di euro. Entrambi i programmi puntavano a sostenere le economie europee contro la pandemia. Con la guerra, Draghi ha chiesto e non ottenuto il potenziamento del Recovery Fund con ulteriori emissioni di debito comune, né un vero scudo anti-spread. Quello presentato giovedì scorso a Francoforte non offrirà alcun aiuto concreto incondizionato all’Italia.

“Super” Mario è stato senz’altro l’uomo dei miracoli alla BCE, dove riuscì ad evitare la scomparsa dell’euro, altrimenti molto probabile nel 2012. La sua politica monetaria ultra-espansiva sostenne per anni il Sud Europa, pur mandando su tutte le furie i governi del Nord. Tuttavia, da premier i risultati sono stati assai più modesti. I miracoli non sono arrivati. Un bene immateriale come l’autorevolezza fa bene al sistema Italia, purché si traduca in effetti tangibili. Complice il breve periodo a Palazzo Chigi, non possiamo spingerci fino a illuderci che vi siano stati. Va benissimo avere rispetto di Draghi, molto meno la deificazione slegata dalla realtà.

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