La prossima settimana, il governatore Jerome Powell riunisce il FOMC, braccio monetario della Federal Reserve, per la prima volta in questo 2023. Il giorno dopo che avrà annunciato la sua decisione sui tassi FED nella serata di mercoledì (ore italiane) sarà la volta della Banca Centrale Europea. Il mercato si attende che il costo del denaro continuerà a salire dello 0,25% al 4,75%. Alla luce dei dati sul PIL degli Stati Uniti nel quarto trimestre, non esisterebbe alcun motivo per non proseguire con la stretta monetaria.

La pubblicazione di ieri ha battuto le attese. L’economia americana si è espansa del 2,9% annuale tra ottobre e dicembre, in rallentamento dal 3,2% del terzo trimestre e sopra le previsioni degli analisti del 2,6%.

Allo stesso tempo, le nuove richieste di sussidi nella settimana scorsa sono diminuite di 6.000 unità a 186.000 e sotto le 205.000 attese dal mercato. La media a 4 settimane si è portata a +30.000 dai minimi di aprile, giù dai +80.000 di agosto. Questo significa che l’economia americana, cresciuta del 2,1% nel 2022 dopo il +5,9% del 2021, sta rallentando senza impattare ancora negativamente sul mercato del lavoro.

I consumi delle famiglie, che incidono per il 69% del PIL, sono aumentati del 2,1%. Giù, invece, l’indice dei prezzi PCE al 3,5% dal 4,4% del trimestre precedente. Il dato “core” risulta sceso dal 4,7% al 3,9%. Questo è particolarmente monitorato da Powell e il resto del board nell’assumere le decisioni sui tassi FED. Le borse hanno reagito positivamente ieri a questi dati, mentre le vendite hanno riguardato i titoli di stato. Il T-bond a 10 anni è salito di rendimento al 3,48% subito dopo la pubblicazione. Gli investitori temono, infatti, che il quadro macro sostanzialmente positivo giustifichi una stretta più dura delle attese.

Tassi FED, stretta quasi al capolinea

In realtà, Powell avrà ottimi spunti per alzare i tassi FED senza strafare. Il PIL cresce, ma la somma tra consumi e investimenti ha contribuito per appena lo 0,22%.

Il restante 2,66% su base annuale è arrivato da spesa pubblica, esportazioni e scorte delle imprese. E il rallentamento dell’inflazione lascia ipotizzare che il costo del denaro negli Stati Uniti stia avvicinandosi al suo livello appropriato. Probabile che Powell si fermerà quando i tassi FED saranno saliti al 5%, così come scontato dal mercato.

Pur in una versione molto meno positiva dell’era pre-Covid, l’economia americana sembra rivivere una stagione di cosiddetta goldilocks, vale a dire il combinato tra crescita e inflazione calante. La piena occupazione non starebbe innescando una spirale inflazionistica e, anzi, le aspettative stanno tendendo al target del 2% fissato dalla banca centrale. Un rialzo dello 0,25% consentirà tra pochi giorni a Powell di proseguire con la stretta e al contempo di tenersi le mani libere per il prossimo futuro. La Banca del Canada si è presa già una pausa, non è detto che la FED non faccia lo stesso già dopo febbraio, sempre che nel frattempo l’inflazione sia scesa a livelli rassicuranti. Era al 6,5% a dicembre. Se entro febbraio scendesse sotto i tassi FED, Powell stopperebbe i successivi rialzi.

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