L’economia italiana rischia un ventennio perduto. E’ l’allarme lanciato dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), secondo cui il pil del nostro paese potrebbe tornare ai livelli pre-crisi del 2027 solo nel 2025, avendo nel frattempo bruciato ben quasi venti anni di crescita. Considerando che l’Italia, in realtà, nei 17 anni dall’entrata in vigore dell’euro è cresciuta di appena il 5,5% in termini reali, pari a un aumento medio annuo del pil di nemmeno un terzo di punto percentuale, il rischio è di perdere non venti, bensì quasi 30 anni.

A conferma che siamo messi male, ma male davvero, arriva un grafico sempre dell’FMI, che ci dimostra come, tenendo conto del pil reale tra il 2007 e il 2016, l’Italia sarebbe il secondo peggiore paese dopo la Grecia per performance. Se Atene ha mandato in fumo circa un quarto della sua ricchezza di 9 anni fa, Roma è in passivo di circa il 7%, mentre la Spagna è rimasta poco al di sotto dei livelli raggiunti con il pil nel 2007.

Crescita Italia in coda alla classifica

Tra le grandi economie, segnano un attivo l’Olanda, la Francia e la Germania. Eclatanti i casi di Malta e Irlanda, che rispetto al 2007 hanno oggi un pil rispettivamente del 30% e del 15% più elevato. E si tratta anche in questi casi di economie dell’Eurozona.

Un altro aspetto preoccupante di questi numeri è che tra i sette paesi ancora oggi con una ricchezza annua prodotta inferiore ai livelli pre-crisi, l’Italia è l’unica grande economia decisamente in passivo. Per il resto, oltre alla Grecia, che chiude la classifica, troviamo Cipro, Portogallo, Finlandia, Lettonia e per poco la Spagna.

 

 

 

Euro è freno alla crescita?

Ma è l’euro a farci male? Ebbene, analizzando i 31 paesi europei ed effettuata una distinzione tra membri dell’Eurozona e stati agganciati all’euro per il tramite di un “peg” da una parte e paesi con tassi di cambio fluttuanti, si scopre che le ultime dieci posizioni, in termini di performance di crescita dal 2007 ad oggi, spettano ai primi, mentre le prime dieci posizioni sono ripartite in parti uguali: 5 a 5.

Teniamo presente, però, che i paesi dell’area euro o agganciati all’euro sono 21 sui 31 esaminati e, quindi, statisticamente dovrebbero occupare i due terzi delle prime, così come delle ultime 10 posizioni, mentre sono presenti al 50% tra le prime e al 100% tra le ultime.

Difficile interpretare queste cifre come l’evidenza provata che la moneta unica sarebbe un freno per la crescita, anche se certamente non depongono in suo favore.