Banca Popolare di Bari ha “interlocuzioni, tutt’ora in corso, con il Mediocredito centrale, con il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e con le autorità di vigilanza”, al fine di trovare le soluzioni più idonee per soddisfare le esigenze di rafforzamento del patrimonio. Questo il comunicato ufficiale dell’istituto pugliese, per il quale si fa strada l’ipotesi del salvataggio pubblico. Stando alle indiscrezioni di questi ultimi giorni, per prima cosa il governo Conte delibererebbe come collegato alla manovra di bilancio un prestito-ponte da 100 milioni di euro, con l’obiettivo di consentire il superamento dell’anno.

Successivamente, lo stato entrerebbe nel capitale attraverso Mediocredito Centrale, la cosiddetta Banca del Mezzogiorno controllata da Invitalia, cioè dal Tesoro.

La Popolare di Bari necessiterebbe di 1 miliardo di euro per patrimonializzarsi secondo i requisiti minimi regolamentari (Tier 1 al 6,2% contro l’8% minimo richiesto dalla BCE), altrimenti la sua operatività sarebbe a rischio, come si legge nella relazione di PricewaterhouseCoopers, a proposito della mancata operazione di cessione entro la fine di quest’anno della Cassa di Risparmio di Orvieto.

Banca Popolare di Bari salvata dalla bozza del Def

Le origini della crisi

La Popolare di Bari rilevò nel 2014 Tercas, la Cassa di Risparmio di Teramo, oberata da 750 milioni di perdite e 1,4 miliardi di sofferenze. Per provvedere all’operazione, varò un aumento di capitale da 800 milioni, di fatto tagliando di un quinto il valore delle sue azioni. Domino indiscusso della banca era ed è la famiglia Jacobini, che la controlla. Marco Jacobini sarà presidente fino a questa estate, quando lascia dopo che emergono perdite a bilancio per il 2018 superiori a quelle precedentemente registrate, salite a 420 milioni, alle quali si sommano altri 73,3 milioni al 30 giugno di quest’anno. Sull’esercizio passato avevano pesato le rettifiche sui crediti deteriorati.

Come spesso accade per le piccole realtà territoriali, specie se caratterizzate da gestioni familiari o personali, anche la Popolare di Bari si mostra poco attenta in fase di erogazione del credito, tant’è che i crediti deteriorati ammontavano al 31 dicembre scorso a quasi 1,4 miliardi su impieghi totali per 10,65 miliardi, incidendovi per circa il 10,7%.

Per cercare di risollevare i conti bancari, l’istituto aveva cercato di cedere il 73,6% detenuto in Cassa di Risparmio di Orvieto. A tale riguardo, era stata avanzata un’offerta vincolante da SRI Group Global Limited, ma ad oggi non se n’è fatto nulla, con la conseguenza che la Popolare di Bari è rimasta priva di un prezioso incasso per migliorare la sua condizione di liquidità.

Operazioni sospette e rischio “bail-in”

Per fortuna, a luglio ha ceduto crediti deteriorati per 2,9 miliardi di euro, ma ciò implica necessariamente l’iscrizione di nuove perdite a bilancio per il relativo trimestre. Nel frattempo, l’amministratore delegato Vincenzo De Bustis è stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Bari per una vicenda dai contorni poco chiari e che ha a che fare con la fallita emissione di obbligazioni subordinate del tipo Additional Tier 1 tra la fine dello scorso anno e gli inizi del 2019. Trattasi di titoli a rischio, a metà tra debito e capitale ai fini regolamentari. Il collocamento da 30 milioni di euro avrebbe dovuto essere riservato a una società con sede a Malta, la Muse Ventures Ltd, tramite BNP Paribas.

L’istituto francese si accorse subito della scarsa trasparenza dell’operazione, segnalando come l’acquirente del bond fosse patrimonialmente debolissimo, risultando con un capitale sociale di appena 1.200 euro. De Bustis cerca di convincere ugualmente il consiglio di amministrazione della bontà dell’operazione, con i cui proventi avrebbe finanziato la sottoscrizione di quote del fondo lussemburghese Naxos Sif Capital Plus per 51 milioni. Finì che da Malta non arrivò un euro e, di conseguenza, anche il principato rimase a bocca asciutta e sta tentando causa contro la Popolare di Bari per ottenere l’adempimento dell’impegno a sottoscrivere.

Per concludere, troviamo nel caso della banca pugliese elementi molto simili sia alla cattiva governance delle due banche venete salvate due anni fa (Popolare di Vicenza e Veneto Banca), sia di Monte dei Paschi di Siena. E anche il finale rischia di essere simile, per quanto non sarebbero a rischio né i depositanti, né almeno la gran parte degli obbligazionisti stessi. Lo sono, al contrario, gli oltre 69.000 azionisti, detentori di titoli dal valore nominale complessivo di 815 milioni, il cui azzeramento nel caso di salvataggio pubblico sarebbe sostanzialmente certo. Il resto verrebbe dalla partecipazione alle perdite degli obbligazionisti subordinati, che alla luce dei dati che circolano su quel miliardo necessario a evitare il crac, rischierebbero fino a un massimo del 40% del valore nominale dei titoli. Ma stiamo ragionando ancora sul nulla, perché non conosciamo i contorni degli interventi di Mediocredito Centrale e FITD. Ogni allarmismo sin qui sarebbe inutile e dannoso.

Bail-in, banche italiane sotto ricatto della Germania?

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