Non fanno che arrivare pessime notizie per l’amministrazione di Alberto Fernandez, quando mancano cinque mesi alle elezioni presidenziali. Il dato sull’inflazione di aprile è stata una doccia fredda: 108,8% annuale, in ulteriore crescita dal 104,3% di marzo e ai massimi dal 1991. La crisi dell’Argentina è diventata così grave da indurre il governo a preparare un pacchetto di misure che saranno annunciate nella giornata di oggi. L’obiettivo è disperato: evitare una terribile svalutazione alla vigilia del voto. I sondaggi già danno i peronisti al potere per spacciati.

Il presidente non si ricandiderà e la vice Cristina Fernandez de Kirchner è stata condannata per corruzione. Tra le opzioni disponibili vi sarebbe il ministro dell’Economia, Sergio Massa, che dovrà cercare di cavare qualche ragno dal buco in poche settimane per avere credibili chance elettorali.

Tra le misure attese per contrastare la crisi argentina ci sarebbe un altro maxi-rialzo dei tassi d’interesse di 600 punti base (6%) al 97%. Alla Banca Centrale Argentina sarebbe assegnato un maggiore potere di intervento sul mercato valutario. Dal canto suo, il governo azzererebbe i dazi sulle importazioni di prodotti alimentari per frenare la corsa dei prezzi. E agli argentini che acquisteranno a credito prodotti nazionali saranno concessi finanziamenti a tassi inferiori a quelli di mercato.

Il problema è che la banca centrale non possiede riserve valutarie sufficienti per sostenere il cambio. Tant’è che nelle scorse settimane ha stretto un accordo con il Banco Popolare Cinese per regolare in yuan scambi commerciali dal controvalore fino a 1 miliardo di dollari. Il peso argentino è crollato del 15,6% nell’ultimo mese sul mercato nero, ma “solo” del 7,3% stando al cambio ufficiale. Questo significa solo una cosa: il cambio è molto più debole di quanto segnali il mercato ufficiale, distorto dagli interventi della banca centrale. Gli argentini stanno accorrendo a comprare dollari, sfiduciati dalla moneta nazionale.

Crisi Argentina, svalutazione inevitabile prima o dopo elezioni

In pratica, il dollaro contro i pesos effettivamente vale il doppio del cambio ufficiale.

Ciò prelude ad una svalutazione sempre più vicina, specie considerate le magre riserve valutarie disponibili. Ma sotto elezioni decreterebbe la fine politica di tutti gli esponenti al governo. Le opposizioni non sono così unite come crediamo. Il centro-destra deve ancora decidere chi candidare alle presidenziali, mentre avanza nei sondaggi un terzo incomodo: Javier Milei, a capo di una formazione della destra “anarco-capitalista”. Propone di eliminare la banca centrale e di rimpiazzare i pesos con il dollaro. Possono apparire idee balzane; semmai sono radicali, la presa d’atto dell’irriformabilità del sistema politico ed economico nazionale.

Nel tentativo di evitare il peggio, Massa volerà a Pechino a fine mese per trattare una più ampia adozione dello yuan nei pagamenti commerciali. E punta anche ad un anticipo degli esborsi legati ai 44 miliardi di dollari di prestiti erogati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) tra il 2018 e il 2019. Difficile che quest’ultimo punto venga centrato. Su Buenos Aires aleggia lo spettro del decimo default in poco più di duecento anni di storia nazionale. L’ultimo è stato nel 2020 ed è stato seguito da una difficile rinegoziazione dei prestiti dell’FMI.

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