Il ministro dell’Economia, Sergio Massa, alla presenza dell’ambasciatore cinese a Buenos Aires e del governatore centrale, ha annunciato che da maggio sarà attivato uno swap valutario contratto con la Banca Popolare Cinese. Importazioni dalla Cina per un controvalore massimo di 1,7 miliardi di dollari potranno essere regolate in yuan. La mossa è stata spiegata con la necessità di preservare le riserve valutarie, duramente colpite dalla siccità. Le esportazioni di prodotti alimentari come la soia sono crollate, privando l’Argentina di 15 miliardi di dollari di entrate.

Nel frattempo, il gap tra tasso di cambio ufficiale e quello vigente sul mercato nero si è ampliato nei giorni scorsi fino al 120%. Ormai tutti credono che la svalutazione del cambio sia inevitabile, solo che in ottobre si vota e il governo peronista non vuole assumersi la responsabilità di un provvedimento così impopolare.

Dolar blue a -21% in due settimane

La crisi valutaria si sta aggravando. In appena due settimane, il cambio libero (noto come “dolar blue“) è sprofondato del 21%, arrivando a 495 pesos contro 1 dollaro. Dal 24 aprile, si è rafforzato di oltre il 4% a 471 pesos. Il cambio ufficiale è di 221,5 pesos contro 1 dollaro, ma è evidentemente sopravvalutato. Sembra che l’accelerazione della crisi sia arrivata con la pubblicazione del dato sull’inflazione a marzo: +7,7% mensile, +104,3% annuale. Chiunque abbia anche pochi pesos di risparmi, cerca di proteggerli dalla perdita del valore di acquisto, convertendoli in dollari.

I controlli sui capitali non bastano ad arginare la fame di valuta straniera. La sfiducia verso il governo è massima, tanto che la scorsa settimana il presidente Alberto Fernandez ha annunciato tra le righe che non si ricandiderà alle elezioni presidenziali di quest’anno. Il fronte peronista è alla ricerca di un candidato presentabile. Solamente un elettore su dieci, secondo i sondaggi nazionali, avrebbe un’immagine positiva dell’attuale capo dello stato.

Svalutazione cambio inevitabile dopo elezioni

Chiunque vincerà le elezioni, dovrà accettare la svalutazione del cambio, imprescindibile per evitare il prosciugamento delle riserve valutarie.

L’impatto potrebbe essere molto inferiore a quello temuto. Gli argentini già ragionano come se il cambio reale fosse quello vigente sul mercato nero e vendono e comprando sulla base dei prezzi che ne conseguono. A cosa sarebbe dovuto il lieve apprezzamento dei pesos nelle ultime sedute, non è ancora comprensibile. Che sia legato al ritiro della candidatura di Fernandez? In teoria, sarebbe una buona notizia per chi temeva una sua rielezione, pur magari fortuitamente. All’atto pratico, accrescerebbe le probabilità di vittoria dei peronisti, i responsabili del disastro oggi al governo.

Fernandez non era né il candidato unico dell’attuale maggioranza, né il più popolare. Il suo ritiro dalla corsa elettorale migliora le chance del centro-sinistra di convergere su una sola candidatura più presentabile. Ma le politiche rimarrebbero le stesse perpetrate da decenni ai danni dell’economia: controlli sui capitali, tassa e spendi, deficit fiscali, retorica contro il libero mercato, statalismo, assistenzialismo esasperato, ecc. Malgrado la rinegoziazione dei 44 miliardi di dollari di prestiti ricevuti dal Fondo Monetario Internazionale, l’Argentina si avvia inesorabilmente verso il decimo default della sua storia.

[email protected]