Il 2022 non è stato un buon anno per l’economia cinese. Il PIL è cresciuto del 3%, mai così male da 40 anni. La lotta alla pandemia con la politica del “Covid zero ha provocato strozzature dell’offerta e cali di produzione. Per quest’anno, dovrebbe andare meglio, ma non così tanto. Il Fondo Monetario Internazionale stima una crescita del PIL al 4,4%, meno del 6,1% previsto per l’India. Soprattutto, per la prima volta dal 1961 la Cina registra un calo demografico. La popolazione diminuisce di 850.000 abitanti.

Le nascite sono state così basse – 6,77 ogni 1.000 abitanti – da essere risultate inferiori ai decessi, saliti a 7,37 ogni 1.000 abitanti. E non si tratterebbe di un fenomeno contingente, magari legato alla pandemia. Le basse nascite sono il risultato della disastrosa politica del controllo demografico. Nel 1979, Pechino impose alle famiglie urbane un solo figlio. I trasgressori furono puniti con multe e persino la perdita del posto di lavoro.

Dal 2016 è possibile anche un secondo figlio, ma le nascite non sono risalite. Nel frattempo, molte famiglie avevano optato per avere come figlio unico un maschio. I feti di milioni di nasciture furono abortiti per decenni e si è arrivati oggi a uno squilibrio tra i due generi, con grandi difficoltà in alcune aree del paese a crearsi una famiglia. Anche a seguito di questi eventi, l’India sembra destinata forse già quest’anno a superare la Cina per popolazione. E la questione non è semplicemente numerica: minori nascite significano minori lavoratori futuri e invecchiamento demografico, ovvero maggiori costi per sanità e pensione.

India terza economia mondiale al 2030?

Più in generale, questo potrebbe essere il decennio indiano. Il PIL dell’India è già dell’8% più alto dei livelli pre-Covid in termini reali. La pandemia ha spostato le attenzioni dei CEO verso il subcontinente asiatico. Nuova Delhi appare più rassicurante di Pechino sul piano delle relazioni internazionali e della politica.

L’India è la più grande democrazia del mondo, mentre la Cina resta una minacciosa dittatura comunista. E non a caso, sta puntando ad attirare la manifattura per sviluppare la propria economia. Secondo le stime di Morgan Stanley, questo comparto inciderà per il 21% del PIL entro il 2031 dal 15,6% attuale. Insieme a S&P, la banca d’affari prevede che l’India sarà terza economia mondiale alla fine del decennio, superando Germania e Giappone.

Certo, il PIL pro-capite a fine 2021 restava nettamente indietro a quello cinese: 2.255 dollari contro 12.550 dollari. Ed esistono alcune criticità strutturali per lo sviluppo locale. Mentre la Cina è da decenni un sistema ordinato, l’India ha una politica caotica. Le stesse relazioni commerciali indo-cinesi risultano ancora assai squilibrate. Nel 2022, a fronte di interscambi saliti a 136 miliardi di dollari, le esportazioni della Cina verso l’India sono state di 118,5 miliardi e quelle dell’India verso la Cina di appena 17,5 miliardi. E così, la seconda ha registrato un deficit di oltre 100 miliardi. Esso risulta di oltre la metà dei -190 miliardi complessivi del paese.

Serve recuperare ritardo passato

Una recessione globale dura avrebbe un impatto significativamente negativo sulla crescita dell’India. Scartando tale ipotesi, S&P stima un +6,3% medio da qui al 2030. Il PIL raddoppierebbe in questo periodo di tempo. D’altra parte, il gap da recuperare con la Cina resta elevato. Nell’ultimo trentennio, il PIL indiano è cresciuto (in dollari USA) del 5% medio all’anno in meno rispetto a quello cinese. Dalla sua, però, ha non solo una demografia favorevole, ma anche un’abbondante manodopera specializzata. Ciò si rivela essenziale per stimolare i tassi di produttività nei prossimi anni.

Certo, l’India non può offrire alcune certezze tipiche del sistema cinese. L’anno prossimo, ad esempio, si vota. Il premier Narendra Modi sarà riconfermato? E al fine di ottenere un terzo mandato, aumenterà la spesa pubblica per ingolosire gli elettori? Potremmo definirli gli effetti collaterali della democrazia, anche se proprio queste caratteristiche dovrebbero favorire lo sviluppo indiano nei prossimi anni a discapito della Cina, che all’Occidente e ai suoi capitali fa sempre più paura.

Forse anche per questo Stati Uniti ed Europa non stanno alzando la voce con Nuova Delhi per le sue relazioni commerciali con la Russia, specie in campo energetico. A Washington come a Bruxelles sanno che meglio sarebbe avere un’India più forte in Asia, anziché la Cina.

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