A molti di noi Isabel Schnabel non dirà niente, eppure si tratta di uno dei componenti del board BCE più importanti e a dicembre è stata a un passo dal diventare il nuovo governatore della Bundesbank, la banca centrale tedesca. In questi primi giorni dell’anno, l’economista ha messo in guardia istituto e governi dell’Eurozona dal fenomeno noto come “greenflation”. Ha sostenuto pubblicamente che la transizione ecologica avrà conseguenze impreviste sull’economia e che da una parte i governi dovranno aiutare le famiglie a superare il problema, dall’altro la BCE non può girarsi e fingere di non vedere.

Per “greenflation” s’intende l’inflazione generata dalla transizione ecologica, che secondo Schnabel non sarebbe affatto transitoria come hanno sin qui voluto far credere tutte le principali banche centrali. A dire il vero, la sua non è più da settimane una voce isolata, tant’è che persino la Federal Reserve ha ufficialmente riconosciuto che l’inflazione americana sarà sostenuta per un periodo più prolungato delle precedenti previsioni.

A cos’è dovuto? Le energie rinnovabili non stanno rivelandosi capaci di rimpiazzare istantaneamente quelle inquinanti per soddisfare la domanda. Ciò sta generando una carenza complessiva dell’offerta energetica e un conseguente aumento dei prezzi. Petrolio e gas, tanto per citare due materie prime estremamente rilevanti per il mercato mondiale ed europeo nello specifico, sono sempre più cari. Il secondo è arrivato a guadagnare anche il 1.000% in appena un anno.

Greenflation e conti pubblici e privati

Indirettamente, Schnabel ha avallato una riforma del Patto di stabilità, già in fase di discussione informale tra i leader europei. E che una tale riflessione sia arrivata da una tedesca non è un fatto secondario. Perché? Le regole fiscali pre-pandemiche appaiono superate dai fatti. Impossibile nel breve e medio-lungo periodo tendere a un rapporto debito/PIL massimo del 60% nei singoli stati dell’Eurozona.

Molto probabile che la soglia di riferimento, ammesso che resti, sia innalzata più verso il 100%. Ma il vero problema si chiama deficit: la transizione ecologica si dimostra costosa e i governi dovranno finanziarla anche a colpi di debito per tendere al grande obiettivo di lottare contro i cambiamenti climatici.

Servono investimenti pubblici per abbattere le emissioni inquinanti e sostenere gli stessi privati in tale obiettivo; si pensi solo per un attimo al Superbonus 110. D’altra parte, i maggiori costi che la transizione ecologica impone alle famiglie devono essere mitigati in qualche modo per evitare l’esplosione di una crisi sociale con tanto di rabbia e destabilizzazione politica. Il caro bollette è solo l’esempio più lampante di questi mesi. Tra luce e gas, le famiglie italiane sopporteranno quest’anno rincari medi attesi nell’ordine dei 1.000/1.200 euro. Il governo è già intervenuto stanziando 3,8 miliardi, ma dovrebbero servirne almeno altri 6 per coprire tutti gli aggravi.

Il “greenflation” richiede, insomma, una politica fiscale meno austera per venire incontro a quegli effetti indesiderati riconosciuti e denunciati da Schnabel. Il Patto di stabilità così come lo abbiamo conosciuto fino al 2019 non può continuare ad esistere, a meno di mettere in forse la sopravvivenza dell’euro. Nessuno immagini che sarà la fine dei sacrifici. Il monito della tedesca è arrivato per chiarire a chi ancora fingesse di non accorgersene che il rialzo dei tassi servirà per contrastare l’inflazione di natura strutturale. E questo significa aumento dei costi di emissione del debito, spread e maggiore spesa per interessi. Verosimilmente, voce da coprire migliorando i saldi primari.

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