Giorgia Meloni ha incontrato a Roma il presidente francese Emmanuel Macron lo stesso giorno dell’insediamento a Palazzo Chigi. Due figure apparentemente molto lontane tra di loro, costrette forse ad andare d’accordo per ragioni di convenienza reciproca. Aggiungete poi la figura di Sanna Marin, la premier finlandese icona della sinistra europea, che con l’italiana sembra condividere solo il fatto di essere donna. Purtuttavia, Meloni, Macron e Marin qualcos’altro in comune ce l’hanno. Non solo i loro cognomi iniziano tutti con “m”, ma sono stati reduci negli ultimi giorni da attacchi contro la BCE sul maxi-rialzo dei tassi d’interesse in corso da mesi.

Intervenendo alla Camera dei Deputati per tenere il discorso sulla fiducia, Meloni ha dichiarato espressamente quanto segue:

(l’aumento dei tassi, ndr) è da molti considerata una scelta avventata, che comporta il rischio di impattare sul credito a famiglie e imprese … ciò è aggravato dalla decisione già presa dalla banca centrale, a partire dall’1 luglio scorso, di cessare gli acquisti dei titoli di stato sul mercato, la quale crea ulteriori difficoltà agli stati che hanno un elevato debito pubblico.

Rialzo tassi BCE, anche Macron e Marin contro

Un attacco alla politica monetaria della BCE è considerato irrituale nell’Eurozona. Esiste una regola non scritta, secondo cui i governi non dovrebbero mai commentare le decisioni di Francoforte. Già in campagna elettorale, però, Meloni si era detta “preoccupata” dalla stretta sui tassi BCE. Ma la sua voce critica non è isolata. La scorsa settimana, lo stesso Macron era intervenuto con toni non meno irruenti per avvertire quei “tanti policymaker” contro il rischio da loro paventato di distruggere la domanda per fermare l’inflazione. A differenza degli USA, ha notato, l’inflazione nell’Area Euro non ha a che fare con l’eccesso di domanda.

Se vogliamo, ancora più esplicita era stata Marin su Twitter, quando aveva persino messo in dubbio la “credibilità delle banche centrali, che portano in recessione l’economia”.

Ed è importante che questo messaggio sia arrivato da un capo di governo del Nord Europa, teoricamente schierato a favore della stretta monetaria.

Le critiche di Meloni, Macron e Marin non fermeranno il rialzo dei tassi BCE di domani. Quasi certamente, saliranno dello 0,75% al 2%. Il mercato stima che si porteranno fino al 3-3,25% entro settembre dell’anno prossimo. Sconta aumenti dello 0,25% alla volta dopo il maxi-rialzo atteso per domani. Ma la verità è che i governi dell’Eurozona iniziano ad avere paura delle conseguenze. Temono che inasprire le condizioni monetarie mentre l’economia nell’area già ingrana la retromarcia a causa della crisi dell’energia possa creare forti tensioni sociali.

Ma l’inflazione corre nell’Area Euro

Resta il fatto che l’inflazione a settembre abbia sfiorato il 10% e che serve fermarla anche per recuperare la credibilità perduta dalla BCE nei lunghi mesi di rassicurazione sul fatto che il fenomeno fosse “transitorio”. Peraltro, il Fondo Monetario Internazionale sostiene che i governi starebbero frenando la lotta all’inflazione con aiuti a pioggia a famiglie e imprese. Il direttore generale Kristalina Georgieva ha usato a tal proposito una metafora efficace: “è come se uno (le banche centrali) spinge sul pedale del freno e l’altro (i governi) sull’acceleratore”.

Il rialzo dei tassi BCE proseguirà, ma cresce la sensazione dell’inadeguatezza della politica monetaria nell’Area Euro. La frammentazione dei mercati determina costi d’indebitamento molto differenti tra stato e stato e rischia di accentuare la divergenza tra i tassi di crescita di Nord e Sud Europa. L’esatto contrario di quanto si prefiggesse l’euro. In effetti, chi ha margini di manovra fiscale come la Germania sta potendo proteggere imprese e famiglie dal caro bollette.

Gli altri, no.

La BCE avrebbe bisogno di un piano anti-spread propriamente detto, anziché un TPI limitato, condizionato e discrezionale. Solo così potrebbe alzare i tassi senza incorrere nella censura verbale di questo o quel governo. E se non riuscirà a domare presto l’inflazione, rischia di perdere la credibilità, che la premier finlandese ha messo già in dubbio per altre ragioni.

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