La scorsa settimana, il presidente Sergio Mattarella, fresco di rielezione al Quirinale, ha tenuto il suo secondo discorso d’insediamento davanti al Parlamento. Applauditissimo da deputati e senatori, forse anche nell’intento di placare, battendo le mani, l’imbarazzo di una settimana precedente a dir poco vergognosa per la storia politica italiana. Alcune parole del capo dello stato meritano di essere approfondite, anche perché svelerebbero una realtà minacciosa e pericolosa per la tenuta delle istituzioni democratiche:

Poteri economici sovranazionali tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico

Mattarella sui poteri economici sovranazionali

Quali sarebbero tali poteri? Il pensiero va ai colossi industriali e della finanza, capaci obiettivamente di influenzare e indirizzare le scelte dei governi.

Ma in che senso aggirerebbero i processi democratici? La democrazia consta di libere elezioni e di organismi rappresentativi che trasformano in leggi la volontà popolare. Evidentemente, Mattarella sostiene che certi poteri economici sovranazionali interferiscano con questi elementi basilari della democrazia. Il come non è secondario. Per caso ostacolano la libertà di voto o la influenzano in una direzione desiderata? O abbattono governi democraticamente eletti?

Non stiamo parlando di un problema teorico, perché sappiamo cosa accadde nel 2011. La crisi dello spread fu in grado di far cadere l’ultimo governo Berlusconi, il quale ad oggi rimane anche l’ultimo ad avere ricevuto la benedizione delle urne. Attenzione: tutti i governi che ricevono la fiducia del Parlamento sono costituzionalmente legittimi, ma qui stiamo parlando di altro, ovvero dell’assenza di mandato popolare che ha caratterizzato tutti i successivi premier italiani fino ad oggi. Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte e Mario Draghi si sono succeduti a Palazzo Chigi senza essersi mai presentati al cospetto popolare per chiedere agli italiani il voto per guidare il governo.

Le parole del presidente Mattarella possono essere intese come una denuncia contro chi avrebbe (condizionale d’obbligo) cercato di interferire con la politica italiana, soffiando sul fuoco di fenomeni come lo spread e le tensioni sui mercati finanziari.

Non sarebbe una spiegazione del tutto convincente, ma va da sé che non sia un mistero che la stessa Bruxelles abbia più volte approfittato di tali tensioni per affievolire il potere negoziale dell’Italia su vari dossier. E ciò è accaduto non solo con Silvio Berlusconi, ma anche con Renzi nel 2016 e con Conte nel 2018. Dunque, lo spread è tutto un complotto? Per nulla, riflette una visione pessimistica dei mercati sulla sostenibilità del debito pubblico italiano. Ma come dimenticare quel “i mercati insegneranno agli italiani come votare” dell’ex commissario Guenther Oettinger?

Mattarella sul rispetto dei processi decisionali

C’è un passaggio precedente del discorso di Mattarella su cui andrebbero spese parole non meno importanti. E’ quello in cui il rieletto presidente sostiene che

una “autentica” democrazia prevede il doveroso rispetto delle regole di formazione e delle decisioni, discussione e partecipazione.

Ci permettiamo di far notare che lo stesso Mattarella non più tardi di qualche mese fa firmò il Trattato del Quirinale, che legherà Italia e Francia in una collaborazione diplomatica e industriale strategica, senza che il Parlamento fosse informato minimamente circa i contenuti. Tralasciando questa nota di colore, sembra che il presidente, già giudice costituzionale, abbia invocato il rispetto dei tempi e delle modalità di formazione dei processi decisionali, da decenni sacrificati nel nome del vincolo esterno, della rapidità delle scelte e della vocazione europeista dell’Italia.

Una lezione in tal senso ci arriva spesso dalla Germania, dove i giudici costituzionali si prendono tutto il tempo di cui hanno bisogno per verifica la legittimità di regole europee nella legislazione tedesca. Un “sovranismo”, che in Italia è assente del tutto per adesione fideistica e automatica alle decisioni di Bruxelles.

Come quando nel 2013 nessuno si pose il dubbio sulle conseguenze che il “bail-in” avrebbe potuto avere sul sistema bancario italiano. Anzi, ricordiamo un allora premier Letta esultante su Twitter, smentito qualche anno dopo dai fatti. Il richiamo di Mattarella appare duplice: al governo di turno, affinché non abusi della sua posizione per sminuire l’unico organo eletto direttamente dai cittadini; al Parlamento stesso, affinché non abdichi alla sua funzione rappresentativa e di mediazione tra i diversi interessi, magari pendendo dalle labbra di entità straniere, istituzionali o economiche che siano. Difficile che chi abbia applaudito fragorosamente Mattarella ne abbia compreso la portata del discorso.

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