Giovedì, la banca centrale argentina ha alzato i tassi di interesse al 133% dal 118% dopo che l’inflazione nel mese di settembre è salita al 138%, segnando un aumento mensile del 12,7%. In una prima ipotesi, l’istituto aveva preso in considerazione di alzare i tassi al 145%. Come se ormai avesse davvero importanza. Chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati, notoriamente non serve a nulla. E neppure questo atto di pura testimonianza della politica monetaria avrà conseguenze d’impatto sui prezzi al consumo, la cui esplosione è sempre più legata al cambio.

I pesos sono diventati carta straccia. In settimana, sono arrivati a scambiare a un tasso di 1.000 contro 1 dollaro. E dire che prima della liberalizzazione di fine 2015, ufficialmente ne servissero appena 9.

Cambio parallelo a 1.000 contro 1 dollaro

Che a farci caso, alzare i tassi al 133% con un’inflazione al 138% non lancia ai mercati neanche il giusto segnale. I tassi reali restano negativi. Da qui a fine anno, gli analisti stimano che i tassi nominali saliranno al 180%. Tutto perfettamente inutile, dicevamo. Se in appena un mese il cambio parallelo perde oltre un quarto del suo valore, significa che c’è enorme sfiducia degli argentini verso la loro moneta nazionale. E a ragione. La banca centrale la stampa in quantità industriali, consentendo al governo di finanziare le sue immense spese assistenziali.

Milei vuole dollarizzazione contro inflazione Argentina

Le famiglie deterrebbero 13.700 miliardi di pesos depositati con contratti a scadenza. Questo fiume di denaro rischia di essere convertito in dollari subito dopo essere prelevato, alimentando la spirale svalutazione-inflazione-svalutazione. L’attesa è tutta per le elezioni di domenica 22. A sfidarsi per la presidenza saranno in tre: Javier Milei (destra libertaria), Sergio Massa (centro-sinistra peronista) e Patricia Bullrich (centro-destra). I sondaggi assegnano un netto vantaggio al primo sul secondo, il quale sarebbe testa a testa con la terza. Ma non sarebbe tale da evitare il ballottaggio di dicembre.

Milei vuole rivoluzionare il sistema finanziario e di potere in Argentina. Propone la dollarizzazione dell’economia, cioè di non stampare più pesos e usare i dollari. Anzi, si spinge fino a promettere l’abolizione della banca centrale. Funzionerà? Già negli anni Novanta e fino al 2001, l’Argentina si legò al dollaro ad un tasso di cambio di 1:1. L’economia perse competitività, il debito pubblico esplose e ci fu il famoso default di inizio millennio. Solo che a quei tempi i governi avevano ancora la possibilità di stamparsi tutta la moneta di cui avevano bisogno attraverso la banca centrale. Il sistema saltò proprio per quello. Il cambio di 1:1 non era né realistico, né sostenibile.

Promessi tagli ai sussidi statali

Rimpiazzare i pesos con il dollaro è un passo molto più radicale. Significa privarsi di autonomia in politica monetaria e affidarsi totalmente alla Federal Reserve. Se il dollaro si rafforza troppo sui mercati internazionali, l’Argentina rischia di diventare poco competitiva. In cambio, non avrà più problemi di inflazione. Questa strada è stata battuta negli ultimi decenni da paesi come Ecuador ed El Salvador, ma anche dallo Zimbabwe in Africa. Ovunque, il problema appare lo stesso: il dollaro garantisce stabilità dei prezzi, ma genera bassa crescita. Senza riforme macroeconomiche, l’Argentina avrebbe inflazione zero, ma anche crescita economica zero.

In verità, Milei non promette soltanto la dollarizzazione, ma anche sostanziosi tagli alla spesa pubblica. Punta a ridurre i sussidi, così da migliorare il bilancio statale e al contempo incentivare al lavoro. Queste parole d’ordine starebbero facendo breccia proprio tra i beneficiari dei sussidi elargiti a mani basse dai governi peronisti. Essi da un lato si mostrano consapevoli di perdere alcuni benefici assistenziali, dall’altro capiscono che questa situazione li sta portando solamente alla fame. Il 40% della popolazione vive ormai sotto la soglia di povertà.

Non te ne fai granché di bollette della luce gratis o quasi, se poi l’inflazione divora il potere di acquisto e ti impedisce ugualmente di mettere insieme pranzo e cena.

Inflazione Argentina ormai fuori controllo

Il rialzo dei tassi non serve quasi più. L’Argentina è entrata in modalità iperinflazione. Chi ha pesos, se ne sbarazza il prima possibile per comprare dollari. Non ha più fiducia nel valore della moneta, aspetta ormai solo di capire chi vincerà le elezioni e regolarsi di conseguenza. Se a prevalere fosse Milei, cosa farsene ancora di banconote che il candidato stesso e, a quel punto, presidente ha definito “più inutili del concime”? Il collasso del cambio è forse il sondaggio più attendibile di questa vigilia elettorale.

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