E’ stato un terremoto politico l’esito delle elezioni primarie di domenica 13 agosto in Argentina. Con il 30% dei consensi è stato il candidato di La Libertad Avanza, Javier Milei, ad avere vinto. A seguire Patricia Bullrich del centro-destra di Juntos con il 28,3% e terzo è arrivato Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia e a capo del cartello di centro-sinistra al governo di Union por la Patria con il 27,3%. Subito dopo la tornata elettorale, la banca centrale ha annunciato la svalutazione del peso argentino del 20%.

Il cambio ufficiale è schizzato a 365,50 per un dollaro USA. Non è niente a confronto con quanto sta accadendo al mercato nero, dove adesso per un dollaro servono 730 pesos. In pratica, secondo famiglie e imprese il tasso di cambio ufficiale resta irrealisticamente alto e pari al doppio del suo valore effettivo.

Ma torniamo alle elezioni primarie, perché sono state uno choc. Milei è esponente di un partito nuovo della destra cosiddetta “anarco-capitalista” e che per stile e parte dei contenuti in molti considerano “trumpiano”. C’è da dire che il voto di domenica va visto come una sorta di sondaggio ufficiale nazionale in vista delle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo 22 ottobre. Nel caso in cui nessuno arrivasse al 45% o al 40% con almeno dieci punti di distacco dal secondo candidato più votato, si renderà necessario il ballottaggio per il 19 novembre successivo.

Milei vuole eliminare peso argentino

Milei compirà 53 anni proprio il prossimo 22 ottobre. E’ attualmente deputato e si batte per ridurre all’osso lo stato. Tra l’altro vuole eliminare qualsiasi sussidio e, addirittura, la banca centrale. A suo avviso, infatti, il peso argentino deve essere rimpiazzato dal dollaro per azzerare l’inflazione. Ritiene che la classe politica di Buenos Aires non sia per nulla credibile. Di recente è arrivato ad affermare che lo stato non dovrebbe intromettersi in decisioni relative alla propria vita, tra cui la possibile vendita di organi.

Cosa significa la sua vittoria? E’ la rivolta degli argentini contro la “casta”. Milei rappresenta il disgusto del popolo verso un sistema di potere che da diversi decenni non fa che mantenere l’economia in eterna crisi. L’inflazione sfiora il 116% e il 40% della popolazione vive in condizioni di povertà. Dopo essere uscito dal nono default della sua storia nel 2020 (il terzo da inizio millennio), il paese rischia di dichiararne un decimo senza accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) sulla restituzione dei prestiti ottenuti tra il 2018 e il 2019 per complessivi 44 miliardi. Il governo è nel frattempo tagliato fuori dai mercati finanziari e deve fare affidamento ai prestiti bilaterali e al mercato dei capitali domestico per rifinanziarsi.

Rivolta anti-casta tra inflazione e povertà rampanti

La svalutazione del peso argentino si è resa indispensabile per evitare il prosciugamento delle riserve valutarie. Nel breve termine, non farà che rinfocolare ulteriormente l’inflazione. La debole performance di Massa ha spinto la banca centrale ad agire. E’ molto probabile, infatti, una svolta a destra alle elezioni presidenziali. E questo implicherebbe la svalutazione del cambio, una delle condizioni pretese dall’FMI tra le riforme economiche da varare per fare uscire l’Argentina dalla crisi.

Milei e Bullrich hanno insieme il 58% dei consensi. Lo spostamento a destra dell’elettorato appare evidente. L’eventuale vittoria del primo sarebbe uno choc per un sistema politico che si regge sull’alternanza tra due schieramenti più tradizionali. L’uomo minaccia lo status quo, sebbene ad oggi in pochi credano che realmente eliminerebbe la banca centrale per rimpiazzare il peso argentino con il dollaro. Più facile, invece, che dia seguito ad altre parti del suo programma, ovvero la riduzione della spesa pubblica e l’aumento della libertà economica. E’ ciò che serve all’Argentina per resettarsi e sperare in un cambiamento migliorativo.

Destra e sinistra tradizionali non si sono rivelati all’altezza. E così, specie i giovani, si affidano all’ultima speranza per porre fine a una crisi divenuta cronica e che ha trasformato in settanta anni l’Argentina da uno dei paesi più ricchi al mondo ad uno tra i più miserabili in cui vivere.

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