Evacuati i 140 italiani residenti in Sudan, che avevano fatto richiesta di rimpatrio in Italia. Tutte le altre principali nazioni occidentali stanno mettendo in salvo i rispettivi cittadini con voli ad hoc. Il conflitto, nel paese del Corno d’Africa tra i più poveri del continente, è esploso in tutta la sua violenza. Khartoum è preda degli scontri tra due generali: Adbelfatah al Buran, 62 anni, già presidente del Consiglio Sovrano di Transizione tra il 2019 e il 2021 e oggi nei fatti capo dello stato; Mohamed Hamdan Dagalo, detto anche Hemedti, numero due del governo e a capo delle Forze di Supporto Rapido, una milizia paramilitare composta da 100.000 uomini e che include anche gli uomini del Janjaweed (“demoni a cavallo”), una forza islamista resasi responsabile dell’eccidio di migliaia di ribelli del Darfur.

Dal regime di al Bashir al conflitto tra generali

I combattimenti sarebbero persino corpo a corpo tra esercito regolare e paramilitari. Le cause dell’ennesimo conflitto in Sudan vanno ricercate nella volontà di Hemedti di tutelare il controllo delle enormi ricchezze possedute, tra cui il traffico illegale di oro da due miniere sotto embargo americano dal 2020. Si presume che sia l’uomo più ricco del paese. Ma anche dietro al presidente vi sarebbero grossi interessi economici nazionali e internazionali da mettere in sicurezza.

Il Sudan è uno stato del Corno d’Africa con una popolazione di poco superiore ai 45 milioni di abitanti dopo la secessione del Sud Sudan avvenuta nel 2011. Possiede un PIL pro-capite intorno ai 750 dollari, tra i più bassi al mondo. L’inflazione galoppa da anni anche a tre cifre. Tra il 1989 e il 2019, il paese fu governato col pugno di ferro dal presidente Omar al Bashir, salito al potere con un colpo di stato e divenuto sempre più estremista e islamista negli anni Novanta. Peraltro, il suo regime sanguinario ospitò Osama bin Laden all’epoca dell’attentato contro l’ambasciata americana.

Tra il 2003 e il 2008, la minoranza cristiana del Darfur fu perseguitata e si stimano almeno 300.000 vittime. Resosi colpevole di genocidio, il regime di al Bashir fu isolato dall’Occidente. Rovesciato nel 2019 da un colpo di stato, si aprì nel paese la speranza di una transizione verso la democrazia. I due generali oggi in conflitto tra loro hanno posto fine a tale auspicio con un nuovo colpo di stato nel 2021. Nel frattempo, però, con al Buran a capo del Consiglio Sovrano di Transizione erano state approvate importanti riforme, tra cui l’abolizione della pena di morte per omosessuali, apostati, il divieto dell’infibulazione, la fine dell’obbligo per le donne di indossare il velo e delle fustigazioni pubbliche.

Sudan al centro di tensioni nel Corno d’Africa

Perché questo conflitto preoccupa le cancellerie straniere? Sudan ed Egitto sono alleati contro l’Etiopia. Questa ha in mente di costruire una grande diga con un investimento di 4 miliardi di dollari. I due paesi confinanti sostengono che rappresenti una minaccia al rispettivo approvvigionamento di acqua potabile nelle rive del fiume Nilo. Il Cairo teme di perdere un alleato in questa lotta, che sta assumendo i connotati di una potenziale grande guerra africana. D’altra parte, le forze paramilitari di Dagalo hanno partecipato al conflitto nello Yemen contro i ribelli Houthi, dando una mano così a Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.

E la milizia russa vicina al Cremlino, nota come Wagner, ha messo piede nel paese nel 2017. Malgrado abbia smentito di essere ancora presente nel Sudan, sarebbe dietro alla destabilizzazione. La Russia di Vladimir Putin cerca non solo alleati in Africa contro l’Occidente, ma anche politici che le consentano di costruire una base navale con la capacità di ospitare fino a 300 truppe e quattro navi a Port Sudan, strategica anche per l’approvvigionamento energetico verso l’Europa.

Rischi geopolitici per Occidente

Dal Sudan, poi, partono da tempo i flussi migratori verso l’Europa, attraverso principalmente la Libia. Il conflitto rischia di acuire la crisi nel Mediterraneo. Gli sbarchi nelle coste italiane potrebbero impennarsi dopo essere triplicati già su base annua. L’Occidente rischia di fronteggiare un allarme sicurezza, perdendo al contempo uno stato con cui stava riattivando relazioni diplomatiche e commerciali dopo decenni. Inoltre, il Sudan potrebbe far pendere ancora di più la bilancia in Africa dalla parte del blocco geopolitico anti-occidentale e guidato principalmente da Cina e Russia, sebbene questi due nel continente abbiano interessi nell’immediato divergenti.

Il Sud Sudan detiene i tre quarti dei giacimenti di petrolio di quello che fu il Sudan unito fino al 2011. Tuttavia, per le esportazioni dipende proprio dallo stato da cui si è separato, per mezzo di un pipeline. L’interruzione dei flussi di petrolio genererebbe una crisi umanitaria, ma va detto che nessuno dei due generali sembrerebbe avere interesse che ciò accada. In ogni caso, l’impatto sull’economia mondiale sarebbe quasi impercettibile, dato che le esportazioni sud-sudanesi ammontano ad appena 170.000 barili al giorno.

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