Tra pochi giorni, l’euro taglia il traguardo dei suoi primi 20 anni di vita, anche se in realtà nacque ufficialmente l’1 gennaio 1999. Solamente che nelle tasche dei cittadini dell’unione monetaria ci finì a partire dall’1 gennaio 2002. Da allora sembra passata un’eternità e, in effetti, ne abbiamo viste tante. Con l’euro abbiamo vissuto i momenti drammatici della guerra in Iraq, della lotta al terrorismo islamista dopo l’11 settembre 2001, la crisi finanziaria del 2008-’09, la crisi dei debiti sovrani nell’Eurozona con lo spread alle stelle in Italia e da ultimo la pandemia.

Nell’ultimo decennio, come conseguenza del forte deterioramento economico vissuto dal Bel Paese a seguito della crisi che ha colpito il suo debito pubblico, tra gli italiani si è diffuso un sentimento di rigetto verso l’euro, percepito come l’incarnazione dei nostri mali. In questi mesi, però, forse torniamo ad apprezzarne i meriti. A novembre, l’inflazione è salita al 3,7%, livello massimo dal 2012. Siamo preoccupati per il venir meno dei prezzi stabili, a cui proprio il primo ventennio dell’euro ci aveva abituati.

Se andiamo a leggere i dati, scopriamo che negli ultimi 20 anni l’inflazione cumulata in Italia è stata del 33,4%, pari alla media annua dell’1,45%. Un dato molto basso e che di fatto ci ha consentito di proteggere il potere d’acquisto di stipendi e risparmi. Nel ventennio precedente, cioè tra il 1981 e il 2001, l’inflazione era stata del 212%, cioè i prezzi correvano al ritmo medio del 5,85% all’anno, quattro volte più velocemente. Andando ancora più indietro al ventennio compreso tra il 1961 e il 1981, l’inflazione era stata del 527%, la media del 9,6% all’anno e 6,6 volte più alta del ventennio sotto l’euro.

Prezzi stabili grazie all’euro

In pratica, oggi lamentiamo la crescita dei prezzi, quando con la lira accadeva molto, molto di peggio e strutturalmente.

E c’entra molto il tasso di cambio. Contro il dollaro, l’euro guadagna da inizio 2002 il 22%. Aveva debuttato a 0,88 e oggi si attesta a 1,13. Ma negli anni precedenti alla crisi globale del 2008-’09, era salito fino a 1,60. Invece, la lira italiana contro la valuta americana aveva perso il 45% tra il 1981 e il 2001 e il 49% tra il 1961 e il 1981. In 40 anni, era passata da un cambio di 620 a circa 2.200, segnando -72%.

La spirale inflazione-svalutazione-inflazione era una realtà nota dagli italiani nei decenni della “liretta”. Prezzi in crescita più che nelle altre principali economie occidentali richiedevano la svalutazione del cambio da parte della Banca d’Italia, che a sua volta provocava tassi d’inflazione ancora più elevati per l’aumento dei costi dei beni importati. Tutto questo finiva per zavorrare il potere d’acquisto delle famiglie. Ed è vero che perlomeno allora i redditi crescevano, mentre sotto l’euro sono rimasti fermi o, addirittura, sono diminuiti in termini reali. Ma, a parte che ci trovavamo in una fase storica differente, cioè in fase di maturazione della nostra economia, molta di quella crescita si ebbe a colpi di debiti, gli stessi che paghiamo a caro prezzo da quasi 30 anni a questa parte.

E a proposito: il debito stesso ci costa molto meno oggi di quando c’era la lira. E anche in questo caso, grazie al fatto di essere denominato in una valuta ritenuta credibile e forte come l’euro. Nel 1993, spendemmo il 12% del PIL per pagare gli interessi, oggi siamo all’incirca intorno al 3,5%, a fronte di un debito salito di una trentina di punti percentuali rispetto al PIL. Quest’anno, ad esempio, abbiamo emesso mediamente titoli di stato al costo dello 0,1%, circa 100 volte più basso di quanto il Tesoro si vide costretto ad offrire agli inizi degli anni Novanta.

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