Pensate se scoprissimo che l’Italia possa disporre di 3.000 miliardi di dollari, lasciati “nascosti” da qualche parte. Azzereremmo all’istante il debito pubblico e le mille preoccupazioni che vi gravitano da almeno trenta anni a questa parte. Un sogno, che per l’ex funzionario al Commercio e al Tesoro degli Stati Uniti, Brad Setser, è realtà in Cina. A suo dire, Pechino possiede riserve valutarie doppie rispetto al valore ufficialmente dichiarato. Queste ammonterebbero a 6.000 miliardi di dollari, anziché ai 3.100 miliardi di fine 2022.

Statistiche cinesi poco trasparenti

L’americano punta il dito contro la “scarsa trasparenza” delle statistiche cinesi, spiegando che sia un grosso guaio per il resto del mondo, dato l’impatto che l’economia cinese ha ormai su di esso. E dove terrebbe nascosto tutto questo immenso denaro, pari a quasi una volta e mezzo il PIL italiano? Nei conti delle società a controllo statale e delle cosiddette “policy bank”, banche che portano avanti compiti di politica economica per conto del governo come la Export-Import Bank of China e la Agricultural Development Bank.

Al 31 maggio scorso, secondo le statistiche ufficiali la Cina possedeva riserve valutarie pari a 3.177 miliardi di dollari, di cui 132,35 miliardi era il controvalore delle riserve di oro. Può anche darsi che Setser abbia persino sottostimato il valore reale delle riserve. Ad esempio, proprio sull’oro la Banca Popolare Cinese dimostra scarsissima trasparenza. Si vocifera che l’istituto conduca acquisti da molti anni, salvo svelarli solo in parte. Forse si pone l’obiettivo di non suscitare eccessivo allarme negli Stati Uniti, dove l’avanzare dell’economia cinese genera da tempo preoccupazione.

Da un lato è senz’altro positivo per la Cina che possegga il doppio delle riserve valutarie dichiarate. Se i calcoli di Setser fossero corretti, la seconda economia mondiale sarebbe un creditore di ben maggiori dimensioni verso il resto del pianeta.

Dall’altro è evidente che questo pone dubbi sulle strategie che l’Occidente sta adottando e potrebbe sempre più adottare in futuro per arginare il pericolo asiatico. Con 3.000 miliardi di dollari in più la Cina disporrebbe di risorse ancora più potenti per rilevare interi pezzi di industria e per assoggettare ai propri appetiti le decine di economie emergenti bisognosi di assistenza finanziaria.

Cina con potenza di fuoco doppia

Proprio in queste settimane si discute della concorrenza sempre più agguerrita dei BRICS alle istituzioni di Bretton Woods (Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale), tramite la nota Nuova Banca per lo Sviluppo. Per non parlare delle centinaia di miliardi di dollari in prestiti erogati dalla Cina a pezzi di Africa, Asia e Sud America. Resta da capire come eventualmente Xi Jinping intenda impiegare tali immense risorse. Sappiamo che da anni vi è un processo in corso di diversificazione delle riserve valutarie. Pechino sta riducendo le esposizioni verso il debito americano, ma non può ancora fare a meno del dollaro quale valuta principale d’investimento.

Immaginate se questi 3.000 miliardi di dollari occultati alle cifre ufficiali fossero investiti tutti in oro. La Cina potrebbe mettere le mani su altre 49.000 tonnellate ai prezzi attuali. Sarebbe una quantità pari a quasi sedici anni di estrazioni nell’intero pianeta. Numeri, che ci lasciano capire la capacità economica del Dragone nel potenziare gli investimenti strategici e all’occorrenza fare incetta delle materie prime di cui ha bisogno senza patire alcun problema finanziario. Numeri, che la dicono lunga anche sulle direttrici dello sviluppo negli ultimi decenni in Occidente. Continuiamo a imbastire una politica dopo l’altra sui debiti per coprire i quali escogitiamo ridicolaggini monetarie senza precedenti, mostrandoci irresponsabili e inaffidabili agli occhi del mondo.

Non è complicato capire da dove arrivino questi 6.000 miliardi di dollari presunti di riserve valutarie cinesi.

Sono il frutto delle esportazioni, che annualmente superano le importazioni di merci, servizi e capitali. In effetti, che le cifre ufficiali andrebbero prese con le pinze lo spiega il surplus corrente: +1.137 miliardi di dollari l’accumulo negli ultimi tre anni, a fronte di riserve quasi invariate. Xi gioca a carte coperte, deciso probabilmente a tirare l’asso nella mano decisiva.

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