Si chiamano “deferred tax assets” (dta), ovvero imposte differite sugli attivi o attività per imposte anticipate, e sulla base delle audizioni dinnanzi alla Commissione d’inchiesta sulle banche di Pier Carlo Padoan e Federico Ghizzoni, rispettivamente ministro dell’Economia ed ex ad di Unicredit, tenutesi questa settimana, potrebbero rappresentare l’ennesimo tassello, che andrebbe nella direzione di comporre un puzzle sempre più negativo per l’ex premier Matteo Renzi e il suo braccio destro Maria Elena Boschi, già ministro delle Riforme e oggi sottosegretario.

Di cosa parliamo? (Leggi anche: Crisi banche, su Etruria Boschi e Renzi ridicolizzati in Commissione)

I dta sono componenti attivi dello stato patrimoniale delle banche, legati a perdite, come quelle derivanti dalla svalutazione di crediti in pancia, riconosciuti automaticamente crediti d’imposta. Nel 2015, la Commissione europea, dopo avere svolto indagini a carico di Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, ha stabilito che queste pratiche sono illegittime, in quanto aiuti di stato ingiustificati. Il problema nacque, perché allora si stimava che circa 40 miliardi di euro, ovvero oltre un terzo del capitale primario per le grandi banche, in Italia risultassero dta. Venendo meno la possibilità di trasformare automaticamente tali perdite in crediti d’imposta, il contraccolpo patrimoniale sarebbe stato duro sulle banche.

Oltre tutto, nel resto d’Europa si era arrivati a saltare l’ostacolo del divieto, fissando un numero di anni massimo entro cui poter utilizzare tali crediti d’imposta, dietro il pagamento di un canone annuo. Cosa succede da noi? Giustamente, l’Abi, il Parlamento e lo stesso governo si muovono per trovare una soluzione simile a quella vigente nel resto d’Europa, non fosse altro perché altrimenti saremmo l’unico paese a soccombere a una disciplina, che tutti gli altri erano riusciti ad aggirare. Si appronta un decreto per rendere retroattivo al 2015 l’uso dei dta tramite gli accorgimenti di cui sopra, il testo viene trasmesso da Padoan a Renzi, ma questi clamorosamente lo boccia.

Ci fu “vendetta” di Renzi contro Unicredit?

E chi si era mosso per farlo approvare? Unicredit, che nel solo 2014 aveva riportato perdite per 14 miliardi e che senza il decreto retroattivo, si stima, avrebbe dovuto pagare 250-300 milioni di euro di tasse su quelli che ora sarebbero stati considerati utili. Come mai una simile chiusura verso le ragioni dell’unica banca sistemica italiana per la lista Sifi? Secondo le domande maliziosamente rivolte dal senatore dell’opposizione Andrea Augello a Ghizzoni, la risposta sarebbe da trovarsi nell’indisponibilità mostrata dal manager a rilevare Banca Etruria, dopo che una tale “sollecitazione” gli era arrivata via email da Marco Carrai, imprenditore molto amico di Renzi e dopo che gli stessi Renzi e Boschi avevano chiesto lumi sulla possibilità che una simile operazione potesse essere realizzata. (Leggi anche: Caso Banche, Renzi e Boschi pagano l’appiattimento del PD sulla finanza)

Per la cronaca, Ghizzoni fu sostituito alla guida di Unicredit dall’estate dello scorso anno, mentre solo con l’arrivo al governo di Paolo Gentiloni è stato possibile quest’anno per il Parlamento approvare la norma che aggira il divieto della UE, prevedendo un canone annuo dell’1,5% sulla differenza tra imposte anticipate e anticipi d’imposta e fino al 2030. Non siamo dinnanzi ad alcuna prova contro l’ex premier, né il mancato assenso di Palazzo Chigi sul testo di cui sopra preparatogli da Padoan sarebbe illegittimo. Tutt’altro. Stiamo semmai cercando di ragionare sulle possibili tensioni tra Renzi e Ghizzoni e sulle loro cause. Il banchiere conferma in audizione di essere andato su tutte le furie per questo improvviso cambio di rotta da parte dell’allora premier, ma spiega che non ci fu nulla da fare per convincere il governo a porre le banche italiane sullo stesso piano delle altre europee sul fronte normativo.

Supposizioni, dubbi, che intervengono in un quadro già abbastanza complicato da spiegare per Renzi. L’email di Carrai, ad esempio, a quale titolo è stata spedita a Ghizzoni per “ricordargli” nel gennaio 2015 del dossier Etruria? Per conto di chi lo ha fatto? E lo stesso fatto che il banchiere ne abbia fatto menzione in audizione ha voluto per caso segnalare ai parlamentari della Commissione d’inchiesta che dietro vi sarebbe stato qualche esponente dell’esecutivo? Ombre, che hanno fatto scendere il buio sul Nazareno e, in particolare, sulla figura del segretario del PD, sempre più percepito nell’opinione pubblica come eccessivamente affaccendato in vicende, di cui si sarebbe dovuto occupare, almeno in teoria, il solo mercato.