Mercoledì mattina, il cambio euro-dollaro è sceso fino a un minimo di 1,1289, il livello più basso da luglio 2020, cioè da sedici mesi a questa parte. Perde fino all’8% quest’anno e la vera notizia è che l’indebolimento del cross sarebbe tutt’altro che finito. Ad avere rinvigorito il biglietto venerdì all’inizio di questa settimana è stata la pubblicazione dell’Empire Employment della Federal Reserve, salito a 26 punti (+8,9) nel mese di novembre, toccando i nuovi massimi storici. Le letture sopra zero segnalano espansione del mercato, nel caso specifico dell’occupazione.

A seguito di questo dato, non si è solo apprezzato il cambio euro-dollaro, ma sono risaliti anche i rendimenti americani. Il Treasury a 10 anni si è riportato sopra 1,60%. Perché? Il netto miglioramento del sentiment sull’occupazione negli USA ormai mette nell’angolo la Federal Reserve, che sinora ha giocato a ignorare l’ottimo andamento macroeconomico per non alzare i tassi USA repentinamente. Tuttavia, questo atteggiamento non regge più alla luce dei dati. L’economia americana si è del tutto ripresa dalla batosta presa con la pandemia. Se già la FED sta tagliando gli acquisti dei bond, al più presto dovrà segnalare l’aumento prossimo del costo del denaro.

Cambio euro-dollaro, test con i dati sul lavoro USA

E nell’Eurozona? La BCE continua a mostrarsi ultra-accomodante, mentre l’economia si sta riprendendo a pieno ritmo dal Covid, pur tra le crescenti inquietudini per la quarta ondata dei contagi in corso nel continente. L’Austria ha appena riattivato il lockdown per i non vaccinati, mentre la situazione in Germania appare quasi al limite del controllo. Per ora nessun governo vuole considerare le restrizioni dure del 2020 e inizio 2021, ma le condizioni sanitarie si stanno deteriorando in buona parte della Mitteleuropa.

Per quanto sinteticamente descritto, il cambio euro-dollaro s’indebolisce sulle buone notizie che arrivano dall’America e le meno buone dall’Eurozona.

Peraltro, l’Organizzazione Mondiale della Sanità stessa ha definito l’Europa il nuovo epicentro della pandemia. La divergenza monetaria tra le due sponde dell’Atlantico si fa più nitida. Il rialzo dei tassi USA è sempre più vicino, cosa che non si può dire dei tassi BCE. Del resto, l’inflazione americana è salita al 6,2% negli USA, ai massimi da novembre 1990, mentre nell’Eurozona si è attestata al 4,1%. Determinante sarà il nuovo report sui posti di lavoro non agricoli negli USA, il famoso “Nonfarm payrolls”. Una lettura sopra le aspettative metterebbe ulteriormente le ali al biglietto verde contro la moneta unica.

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