Il cambio euro-dollaro guadagna un altro circa 0,20% stamattina e si porta a oltre 1,1350. Eppure, sembrava che il “mood” fosse ribassista a inizio settimana, specie dopo la pubblicazione dei dati sull’occupazione americana a maggio, secondo i quali sono stati creati 2,5 milioni di posti di lavoro negli USA, contrariamente alle attese di un calo di 8,5 milioni. La ripresa dell’economia americana sembra essersi avviata prima del previsto, un fatto che dovrebbe oggi portare la Federal Reserve a non annunciare nuovi interventi di allentamento monetario a sostegno di Main Street.

Nelle scorse settimane, il mercato aveva iniziato a stimare tassi negativi per il medio-breve termine, tant’è che il governatore Jerome Powell si era sentito in dovere di smentire che una simile azione verrebbe mai adottata dalla sua banca centrale. Adesso, queste aspettative sembrano essere rientrate, in quanto la situazione imminente non lo richiederebbe più. Gli effetti del Coronavirus sono stati pesanti anche per la prima economia mondiale, ma almeno segnala di avere superato la fase peggiore e di essere entrata in quella della ripartenza.

I tassi negativi scuotono l’America, Trump e Powell ancora una volta divisi

In teoria, ve ne sarebbe per rafforzare il dollaro, mentre sta accadendo il contrario anche contro le altre valute. Mediamente, stamattina il biglietto verde si sta deprezzando dello 0,14%. Come mai? Il fatto è che vi è stata una grossa corsa al dollaro nei mesi passati, con l’apice toccato a marzo, quando il cambio era arrivato a guadagnare in media l’8% da inizio anno. Trattandosi di un “porto sicuro”, l’America ha attratto capitali dal resto del mondo in cerca di riparo contro le tensioni finanziarie e la crisi sanitaria in corso.

Il controllo della curva

Ora che la paura sta gradualmente rientrando, il dollaro inizia a riportarsi ai livelli pre-Coronavirus. E c’è di più. E’ vero che con ogni probabilità la Fed stasera non annuncerà alcun ulteriore potenziamento degli acquisti di assets, ma trapela che il FOMC voglia dare una calmata ai rendimenti sovrani, i quali nelle ultime settimane stanno lievitando.

Ad esempio, il Treasury a 10 anni si è portato già allo 0,82%, quando a fine maggio stava ancora allo 0,66% e a marzo aveva chiuso ai minimi di sempre, allo 0,57%.

Anziché imbarcarsi in nuovi acquisti, l’istituto imiterebbe l’esempio del Giappone, che da anni punta a controllare la curva dei rendimenti, fissando obiettivi per le scadenze più significative. Nello specifico, Powell e il resto del board potrebbero annunciare di tollerare che il rendimento a 10 anni oscilli tra un minimo e un massimo prefissati, intervenendo semmai per centrare il target, così da regolare il mercato sui rendimenti lungo il resto delle scadenze, mantenendo i costi di ri-finanziamento per stato e imprese sotto controllo. Man mano che l’inflazione tornerà a salire, sarebbe come ridurre il livello reale dei rendimenti USA.

Il controllo della curva dei rendimenti è questione di tempo per BCE e Fed

Ecco, quindi, la ragione per la quale il dollaro sta indebolendosi, pur restando relativamente forte. Attenzione, perché fino a quando Eurozona e Giappone, in particolare, non usciranno del tutto dalla crisi e i rispettivi mercati obbligazionari non torneranno a offrire rendimenti competitivi, la forza del dollaro resterà pressappoco intatta. I rendimenti a stelle e strisce, pur in forte calo negli ultimi mesi, restano decisamente superiori (e positivi) a quelli europei e nipponici e la risalita recente aumenta il divario con il resto dei mercati avanzati, creando le condizioni per un riafflusso dei capitali e un rafforzamento del cambio. Anche per questo, forse, la Fed oggi si muoverà per mettere in chiaro che i livelli dei rendimenti non dovranno schiodarsi granché dai livelli perseguiti.

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