Dalla BCE è arrivato il segnale che il mercato stava aspettando, forse anche qualcosa di più: gli acquisti di assets con il PEPP verranno aumentati di 600 miliardi di euro ed estesi di 6 mesi al 30 giugno 2021. Immediata la risposta del cambio euro-dollaro, che si è portato ai massimi da tre mesi, salendo a 1,1372 mentre scriviamo. Era sceso sotto 1,0650 a marzo, prima che l’Eurotower cambiasse rotta rispetto alla lenta reazione iniziale all’esplosione della crisi sanitaria ed economica nell’Eurozona. Gli spread ieri si sono ristretti di una ventina di punti base, crollando fin sotto 180 nel caso del BTp a 10 anni rispetto al Bund.

La BCE alza il PEPP di altri 600 miliardi: boom dei BTp, ma restano due pericoli

Il cambio di passo di Francoforte sta sostenendo l’umore tra gli investitori, anche perché il potenziamento del piano di acquisti emergenziali segue di un mese la sentenza con cui la Corte Costituzionale tedesca ha assegnato all’istituto tre mesi di tempo per chiarire sul rispetto del principio di proporzionalità nell’implementare il “quantitative easing”. In un certo senso, è come se la banca centrale abbia mandato elegantemente i giudici tedeschi a quel paese.

La decisione di ieri è stata adottata all’unanimità, quindi, anche con il consenso dei rappresentanti tedeschi nel board: il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, e il consigliere esecutivo, Isabel Schnabel. Come mai Weidmann, in particolare, ha votato “contro” Karlsruhe? Da membro del board BCE ha dovuto stringersi attorno a Christine Lagarde nella difesa dell’indipendenza dell’istituto, al fine di salvaguardarne la credibilità e l’efficacia delle misure di politica monetaria.

Verso la monetizzazione dei debiti

Attenzione, però, a credere che la BCE possa e voglia ignorare i paletti che sono arrivati esplicitamente dalla Germania. Questa è una fase di emergenza e, in quanto tale, richiede sangue freddo e azione. Tuttavia, da Karlsruhe sono arrivati precise indicazioni sui limiti che Francoforte debba darsi nel rispetto del mandato assegnatole.

E’ vero, non è accettabile che sul piano giuridico i tedeschi non si sentano sottoposti alle sentenze della Corte di Giustizia UE, giudicate “ultra vires” dalla loro Corte Costituzionale. Ciò non toglie, però, che, ad emergenza finita, il prosieguo degli acquisti condotti con il programma ordinario – il QE – sarà messo in discussione.

Semmai, sarà interessante verificare se la BCE risponderà o meno alla richiesta di chiarimenti. Se lo facesse, dovrebbe trovare le parole adatte per non mostrarsi troppo accondiscendente verso Karlsruhe e al contempo nemmeno sfuggente al loro invito. Se non lo facesse, sarebbe come mandare le toghe rosse a quel paese nel peggiore dei modi, ossia ignorandoli, ma sarebbe una prova di forza e di indipendenza del tutto auspicabile e che il mercato gradirebbe alla lunga come soluzioni migliore.

Volenti o nolenti, la BCE si sta dirigendo verso la monetizzazione dei debiti sovrani nell’area, sopperendo a una politica fiscale comune inesistente e che con il “Recovery Fund” sarebbe solo al debutto. Il prossimo passo o “salto” qualitativo sarà il controllo della curva dei rendimenti, che implicherà per Francoforte anche la fissazione di un tetto massimo accettabile per gli spread lungo le scadenze. Anatema per la Germania, che teme così il lassismo fiscale nel sud e l’assunzione eccessiva di rischi sovrani, esponendosi ai conti pubblici altrui. Anche perché, dopo questa pandemia, la riattivazione del Patto di stabilità sarà tutt’altro che semplice e automatico. E questo Berlino lo avrebbe già capito, ecco perché punta ad attirare i paesi alleati nella trappola del MES.

Il controllo della curva dei rendimenti è questione di tempo per Fed e BCE

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