Nelle ultime due settimane, il dollaro si è parzialmente “sgonfiato”. Resta in rialzo di circa l’11,5% contro le altre principali valute mondiali quest’anno. Tuttavia, rispetto all’apice toccato alla fine di settembre perde il 6,5%. E anche nel confronto con le prime sedute di novembre il bilancio è negativo del 5,5%. La retromarcia è stata inserita, in particolare, dopo che il dato sull’inflazione americana a ottobre è risultato inferiore alle previsioni, in discesa al 7,7% dall’8,2% di settembre. Tanto è bastato al mercato per iniziare a scontare una stretta sui tassi d’interesse meno vigorosa nei prossimi mesi da parte della Federal Reserve.

Rally delle principali valute

L’indebolimento del dollaro appare un po’ prematuro. Diversi analisti scommettono su tassi FED fino al 5,25%. Lo stesso mercato ci crede, come segnalano i contratti derivati. Purtuttavia, queste sedute stanno servendo a far riprendere fiato alle altre principali valute. Una di queste è senz’altro l’euro. Contro il biglietto verde guadagna il 6% in due settimane ed era arrivato a guadagnare il 7%. Mentre scriviamo, è risalito a un tasso di cambio di 1,0364. Stava a 0,9750 il 3 novembre scorso.

Un po’ meglio va allo yen, che è passato da un cambio di 150 a uno di 140. Dopo avere toccato il cross più debole dal 1998, ha parzialmente risalito la china. La Banca del Giappone era dovuta intervenire a settembre e ad ottobre per arrestare il tracollo della valuta nipponica. Ma certamente la paura si è allontanata soprattutto da Londra, dove la sterlina aveva registrato i minimi storici contro il dollaro e adesso recupera il 12%. A 1,19, il cambio è risalito ai massimi da agosto. La crisi della sterlina e dei bond UK o Gilt portò alle dimissioni il governo Truss dopo appena un mese e mezzo dal suo insediamento.

Infine, timido apprezzamento anche per lo yuan, che dai minimi dal 2007 recupera il 2,5%. Ma il cambio cinese non si muove perfettamente secondo le forze del mercato, essendo manovrato giornalmente dalla Banca Popolare Cinese.

Ad ogni modo, la direzione è quella giusta per la valuta asiatica.

Trend dollaro non scontato

Resta da vedere se questi rialzi non siano altro che lo specchio dell’indebolimento del dollaro. In effetti, il Giappone mantiene i tassi negativi, pur in presenza di un’inflazione salita al 3,7%, ai massimi dal 1991. La stessa Eurozona ne ha ancora tanta di strada da fare per piegare un’inflazione schizzata al 10,6%. E le buone intenzioni del governo Sunak, messe ieri nero su bianco con la nuova manovra di bilancio improntata all’austerità fiscale, dovranno fare i conti con la recessione in corso dell’economia britannica.

La risalita dello yuan soltanto per il momento sembra giustificata dall’allentamento delle restrizioni anti-Covid deciso dal governo di Pechino. Ma nel complesso sono ancora troppo scarni i dati che autorizzano a supporre una retromarcia definitiva del dollaro. Le condizioni dell’economia americana restano positive, tanto che Goldman Sachs non crede neppure che andrà in recessione nel medio termine. Quasi scontato un rialzo dei tassi FED al 5% o poco oltre. Le altre banche centrali hanno dinnanzi a loro molte minori certezze.

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