Potrebbero esserci novità interessanti in arrivo per milioni di lavoratori dipendenti. Una proposta di legge presentata dalla senatrice di Fratelli d’Italia, Paola Mancini, punta ad innalzare da 8 a 10 euro la soglia di esenzione fiscale per i buoni pasto erogati quotidianamente dalle imprese. Se diventerà una norma dello stato italiano, il Parlamento avrà finalmente riconosciuto la grave perdita di potere di acquisto accusata dalle famiglie con l’inflazione alle stelle degli ultimi anni. Nel solo biennio 2022-2023 i prezzi al consumo sono aumentati mediamente del 14%, mentre le retribuzioni lorde sono appena cresciute.

Buoni pasto esentasse fino a 10 euro?

I buoni pasto sono un’alternativa al servizio mensa offerta dalle imprese ai dipendenti per la pausa pranzo. Attualmente, non concorrono a formare il reddito imponibile ai fini Irpef fino alla somma di 8 euro al giorno per i ticket elettronici e di 4 euro al giorno per il formato cartaceo. La stragrande maggioranza dei lavoratori usufruisce ormai dei buoni pasto elettronici, che sono favoriti fiscalmente dallo stato per il semplice fatto di essere tracciabili contro l’evasione.

I beneficiari risultano essere 3,5 milioni, di cui un quinto alle dipendenze della Pubblica Amministrazione. Le imprese che li erogano ai dipendenti sono 150.000 e gli esercizi convenzionati 170.000 in tutta Italia. Infine, ad emetterli sono 14 società. In effetti, il meccanismo di erogazione è un po’ più complesso di quanto pensiamo. Le imprese ordinano i buoni pasto a un emittente, il quale può offrire una rete di esercizi convenzionati. E’ questo il motivo per cui una singola impresa non emette direttamente i buoni. Se lo facesse, dovrebbe mettersi anche a stipulare accordi con bar, ristoranti e supermercati per consentire ai propri dipendenti di spenderli. I costi sarebbero proibitivi.

Come funzionano le convenzioni

Chiaramente, l’emittente non svolge questo lavoro al posto delle imprese gratuitamente. Pretenderà il pagamento delle commissioni.

Da chi? Dagli esercizi convenzionati. Ad esempio, se la commissione fosse del 10%, significherebbe che il lavoratore paga il pranzo con un buono (supponiamo) di 8 euro al ristorante e questi riceverà in pagamento effettivamente 7,20 euro. Gli saranno trattenuti 80 centesimi dall’emittente. Per questa ragione molti locali si rifiutano di accettarli in pagamento o minacciano ogni due e tre di non accettarli più. Le commissioni arrivano finanche al 15%, pur essendo scese negli ultimi anni con l’aumentare del numero degli “issuers”.

Oltre ai costi in sé, esiste anche un problema di tempi. Gli emittenti non pagano sempre puntualmente i buoni pasto, per cui molti piccoli locali non possono permettersi di attendere anche svariati mesi prima di ricevere il denaro. Nel frattempo devono pagare la merce, i dipendenti, le utenze, l’affitto, imposte e tasse, ecc. Perché, allora, sottoscrivere una convenzione? Porta clienti, che il più delle volte non metterebbero piede nel locale. Una soluzione “win-win” per lavoratori, imprese, esercizi ed emittenti.

Costo pausa pranzo ben sopra voucher medio

Torniamo ai lavoratori dipendenti. Dicevamo che hanno accusato il colpo con l’inflazione alta di questi anni e che per fortuna sta rallentando. In effetti, trova una ricerca condotta da Altis-Anseb, il costo medio di una pausa pranzo si aggira intorno agli 11 euro, mentre il valore medio di un buono pasto è di 6,75 euro. Significa che, giorno dopo giorno, il lavoratore è costretto a metterci qualcosa di tasca propria per mangiare prima di riprendere a lavorare. Persino un panino con bevanda e caffè costa mediamente sopra gli 8 euro. E’ ovvio che i prezzi varino da zona in zona e da città in città.

Alzare la soglia di esenzione fiscale da 8 a 10 euro non implica automaticamente che i lavoratori riceveranno 2 euro in più al giorno. Sarà, semmai, più conveniente per le imprese potenziare questo benefit, in quanto non ci pagheranno sopra le imposte.

Per legge, poi, i buoni pasto possono essere utilizzati per fare la spesa, ma fino a un massimo di otto per volta. In pratica, il lavoratore avrebbe a disposizione fino a 16 euro in più esentasse per ogni volta che si reca al supermercato per acquistare prodotti, chiaramente a patto che anche questi sia convenzionato.

Buoni pasto benefit di civiltà

Le imprese che erogano buoni pasto, investono sul proprio appeal. Nei fatti, questi voucher sono una componente non retributiva in favore del dipendente e ne agevola la vita sul piano economico e non. Se vogliamo, un fatto di civiltà. Pensate a coloro che lavorano in zone centrali delle grandi città, dove i prezzi sono in media più alti che altrove anche solo per mangiare. E non è detto che lo siano anche le retribuzioni. Il legislatore deve mettere le imprese nelle condizioni di offrire servizi ai dipendenti senza stangarli come se si trattasse di benefit per grossi finanzieri di Wall Street. Alzare l’esenzione a 10 euro al giorno è forse meno del minimo sindacale che possa fare.

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