Non c’è solo la maxi-rivalutazione degli assegni per i pensionati a partire dal 2023 ad offrire un po’ di sollievo a milioni di famiglie. All’inizio del mese di dicembre, il Ministero di economia e finanze ha firmato il decreto con cui rivede al rialzo i coefficienti di trasformazione per il biennio 2023-2024. E gli aumenti arrivano al 3%. Non saranno molti a conoscere l’argomento. Iniziamo con il dirvi che si tratta della quota delle pensioni liquidata con il metodo contributivo, vale a dire sulla base dei contributi versati all’INPS e annualmente rivalutati al tasso del PIL nominale medio del quinquennio precedente.

Quando un lavoratore decide di andare in pensione, l’INPS non fa altro che trasformare questi contributi in assegno. E lo fa attraverso appositi coefficienti, detti appunto di trasformazione. Essi sono legati alla speranza di vita rilevata dall’ISTAT. Ad esempio, i nuovi pensionati a 67 anni avrebbero mediamente dinnanzi a loro altri circa 18 anni di vita. Ed ecco che fino al 31 dicembre 2022, il coefficiente di trasformazione a 67 anni è del 5,575%. Ciò significa che se hai accantonato contributi per un importo rivalutato di 200.000 euro, l’assegno annuale sarà di (200.000 x 0,0575) = 11.150 euro, pari a circa 857,69 euro per tredici mensilità. Infatti, il 5,575% corrisponde a un diciottesimo.

A partire dall’1 gennaio 2023, cioè tra pochi giorni, al montante contributivo saranno applicati coefficienti di trasformazione più alti ad ogni età in cui si andrà in pensione. Sempre a 67 anni, il nuovo coefficiente sale a 5,723%. Dunque, nell’esempio di cui sopra l’assegno mensile salirebbe a 880,46 euro, cioè del 2,65%. Possiamo ripetere il calcolo per qualsiasi età a partire dai 57 anni e troveremmo sempre un aumento. A 65 anni, si passerebbe dal 5,22% di oggi al 5,352%, pari a un +2,53%.

Pensionati 2023-’24 con assegni più alti

A cosa è dovuto questo aumento? Questa è la parte brutta dell’aggiornamento: la speranza di vita durante la pandemia è diminuita.

Gli italiani sono morti mediamente a un’età più bassa degli anni precedenti e ciò ha portato a due conseguenze “positive”: età ufficiale di pensionamento “congelata” a 67 anni e aumento dei coefficienti di trasformazione. Per i futuri pensionati, comunque, la buona notizia resta. Anche se dopo il 2024 i coefficienti fossero riabbassati, gli assegni di chi nel frattempo sarà andato in pensione non saranno intaccati. E anno dopo anno, com’è ovvio, si rivaluteranno al tasso d’inflazione.

Facciamo un esempio per capire l’importanza di questo decreto. Prendiamo un assegno mensile di 880,46 euro determinato dai nuovi coefficienti per i pensionati a 67 anni con un montante di 200.000 euro. Se per dieci anni l’inflazione sarà del 2%, l’importo salirà sopra 1.073 euro. Se gli stessi andassero in pensione entro quest’anno con un coefficiente più basso e un assegno, quindi, di 857,69 euro, dopo dieci con la rivalutazione percepirebbero sui 1.045,50 euro. Su base annua, circa 360 euro in meno.

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