I nuovi dati sull’ultimo bilancio dell’Inps ci offrono un panorama aggiornato sul fronte sempre caldo delle pensioni. Lo scorso anno, l’istituto ha incassato il 4,44% (9 miliardi) in più di contributi per un valore complessivo di 214,6 miliardi di euro. Di questi, 123,4 miliardi sono stati versati per conto dei lavoratori dipendenti (+4,65%, pari a +6,7 miliardi) e altri 60,06 miliardi dalla gestione pubblica (+0,87%, pari a +515,7 milioni). Ne consegue anche che i lavoratori autonomi abbiano versato i rimanenti 31,14 miliardi, segnando un incremento del 6,1% o di 1,78 miliardi rispetto al 2022.

Spesa sovrasta contributi

Ma sono aumentati anche i pagamenti per le pensioni Inps a 269,9 miliardi dai 253,6 miliardi dell’anno precedente (+6,3%). Una lievitazione di 16,3 miliardi, quasi interamente dovuta alla maxi-indicizzazione degli assegni per via dell’inflazione all’8,1% nel 2022. Le prestazioni istituzionali dell’ente, tuttavia, sono ammontate a 317 miliardi, +20,5 miliardi (+6,9%). Esse comprendono prestazioni temporanee come l’Assegno Unico, la Naspi e bonus vari. In totale, poi, i pagamenti sono arrivati a 396,86 miliardi (+27,21 miliardi o +7,36%) contro entrate complessive per 395,86 miliardi (+16,68 miliardi o +4,4%). Le pensioni erogate sono state 17,8 milioni e le prestazioni di invalidità 3,6 milioni.

Questi numeri evidenziano che la spesa per le pensioni Inps continua a crescere più velocemente dei contributi versati. Questi ultimi ogni anno non bastano per coprire le prime, per cui lo stato deve mettere mano al portafogli, cioè deve attingere alle entrate fiscali. Soldi dei contribuenti italiani che finiscono per finanziare la previdenza dopo avere già versato contributi relativamente esosi nel confronto internazionale. E questo significa anche sottrarre risorse ad altri capitoli di spesa, servizi come sanità, scuola, assistenza sociale, infrastrutture, ecc.

Pensionamenti doppiano nascite

In effetti, se il “buco” di bilancio per le sole pensioni era di 48 miliardi nel 2022, l’anno scorso saliva a 55,3 miliardi. Rispetto al Pil italiano, una crescita dal 2,44% al 2,65%. E’ vero che stiamo parlando di uno 0,21% in più, che può sembrare una quisquilia.

Tuttavia, il trend va nella direzione indesiderata. Anziché stabilizzarsi, la spesa sale in rapporto al Pil e ciò non lascia intravedere nulla di buono con l’evoluzione socio-demografica in corso. L’anno scorso ci sono state appena 379 mila nascite, 6,4 ogni 1.000 abitanti. Dieci anni prima, erano state oltre 514.000, 8,46 ogni 1.000 abitanti. Sempre nel 2023 sono state erogate 765.000 nuove pensioni.

In pratica, le nascite corrispondono a metà dei pensionamenti. Il “buco” è destinato ad allargarsi ulteriormente, cioè saremo costretti a sacrificare altri servizi per mantenere pensioni Inps sempre più numerose. A meno di non voler pagare più contributi e più tasse. L’inversione di tendenza presupporrebbe un rilancio della natalità da un lato e un forte balzo dell’occupazione dall’altro. Questo secondo aspetto per fortuna si mostra in miglioramento negli ultimi anni. Mai c’erano stati così tanti italiani al lavoro. Ma i numeri restano bassi rispetto al resto d’Europa. Se tendessimo alla media continentale, riusciremmo a racimolare non meno di una ventina di miliardi di euro di maggiori contributi.

Pensioni Inps restano col buco

L’unica buona notizia è forse che la spesa per le sole pensioni Inps si attesterebbe intorno al 13% del Pil, escludendo le erogazioni di tipo assistenziali che negli altri stati vengono conteggiate a parte. E questo abbasserebbe di oltre due punti la percentuale nel confronto internazionale, segnalando una maggiore sostenibilità della previdenza italiana. Ma poiché è la somma che fa il totale, dalla matematica non si sfugge: il “buco” esiste e deve essere colmato ogni anno con le entrate fiscali. E questo non è ciò che definiremmo sostenibile.

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