Il primo turno delle elezioni amministrative è alle spalle, ma le conseguenze che si porta dietro resteranno in auge per un bel po’ di tempo. Alla prima conferenza stampa dopo il voto, tenutasi martedì sera, il premier Mario Draghi ha dichiarato di non sapere se il suo governo sia uscito rafforzato dalle urne. In quell’occasione, egli ha presentato insieme al ministro dell’Economia, Daniele Franco, l’approvazione dell’esercizio della delega fiscale in Consiglio dei ministri. La Lega ha disertato la riunione.

In altri tempi, sarebbe venuto giù il governo. Ma viviamo in un momento eccezionale da tutti i punti di vista.

La Lega è la grande perdente di queste elezioni amministrative. Nelle grandi città, i suoi consensi sono colati a picco, raccolti parzialmente dall’ascesa di Fratelli d’Italia. Il PD ha vinto indubbiamente, conquistando al primo turno Milano, Napoli e Bologna e partendo in vantaggio a Torino, inseguendo a breve distanza a Roma. Suona il “de profundis” per il Movimento 5 Stelle, ma ormai non fa più neppure notizia. I romani hanno dato un “ciaone” eclatante al sindaco pentastellato Virginia Raggi, che non accede al ballottaggio.

Elezioni amministrative, crollo dell’affluenza

Ma il vero vincitore di questa tornata è stato l’astensionismo. È un trend che va avanti da anni, ma che stavolta ha raggiunto dimensioni notevoli e, soprattutto, al nord. L’affluenza in tutte le grandi città è stata tra il 46% e il 49%. Meno di un elettore su due si è recato ai seggi. A Milano, si è fermata al 47,7%, a Torino al 48%, a Trieste al 46%, a Roma a meno del 49% e a Napoli al 47%. Siamo abituati a pensare che siano i meridionali i più recalcitranti a votare, ma il fenomeno per le comunali ha assunto connotati gravi proprio nel Settentrione.

Dicevamo, per certi versi un trend quasi naturale. In verità, l’astensionismo a questo giro ha colpito particolarmente il centro-destra, che eppure secondo i sondaggi sarebbe nettamente in vantaggio nelle preferenze di voto.

Come si spiega questa contraddizione? E’ l’effetto scoramento. A parte la breve parentesi del governo giallo-verde, in cui la Lega effettivamente spadroneggiava e portava a casa alcuni risultati, la coalizione non tocca palla da dieci anni. Il suo elettorato per un periodo relativamente breve s’infatuò di Matteo Renzi sulla convinzione che, pur essendo a capo del PD, avrebbe portato avanti istanze simili a quelle storiche del berlusconismo.

Preso atto dell’illusione, i consensi tornarono a fioccare a favore di Matteo Salvini. Almeno fino a due anni fa, quando partì l’ascesa di Giorgia Meloni. Negli ultimi tempi, molte cose sono cambiate: i rapporti di forza tra i due alleati sono diventati abbastanza paritari, anzi Fratelli d’Italia sarebbe davanti alla Lega per i sondaggi. Salvini è tornato al governo con Draghi, la Meloni è rimasta (sola) all’opposizione. Il punto è che né l’uno e né l’altra stanno riuscendo ad incidere sull’azione di governo dalle rispettive posizioni. Il centro-destra non ha portato a casa nulla su green pass, riaperture, fisco e sicurezza. Anzi, Draghi è andato avanti sulla riforma del catasto, malgrado l’opposizione della Lega e quella silente di Forza Italia.

Il rapporto tra Draghi e i ceti produttivi

Gli elettori di centro-destra hanno segnalato a Draghi che non si sentono rappresentati dal suo governo. Hanno palesato tutta la loro frustrazione per istituzioni quasi di gomma, presso cui ogni istanza non di sinistra sembri rimbalzare. I ceti produttivi hanno confidato e confidano nella coalizione, ma non stanno intravedendo neppure l’ombra di un qualche risultato apprezzabile. Le tasse restano alte, la burocrazia è sempre più soffocante, le restrizioni anti-Covid sono allentate molto lentamente, la sicurezza non è una priorità nazionale.

Il problema non riguarda solamente il centro-destra, ma proprio Draghi.

Egli gode di forte considerazione e rispetto presso gli elettori di quasi ogni partito italiano. Non era mai accaduto nella storia repubblicana. Ma sembra ignorare le richieste di cui si fanno interpreti dentro il suo governo partiti come Forza Italia e Lega e dall’opposizione Fratelli d’Italia. Ciò crea obiettivamente un vulnus, che rischia di attenuare questo clima di generale concordia nazionale almeno sulla persone del premier. Invece, serve che tale clima persista per approvare alcune riforme indispensabili per portare a casa gli stanziamenti del Recovery Fund e concludere la legislatura con un governo credibile in Europa e nel mondo sui temi fiscali e della crescita economica. Mostrare i muscoli su una riforma del catasto errata nei tempi e negli obiettivi, pur apprezzabile nelle modalità, rischia di fare di Draghi un oggetto di scontro, anziché un punto di forza della politica italiana.

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